Con la sua morte Cristina Calderón, dichiarata “tesoro umano vivente” dall’Unesco nel 2009, porta via con con sé Yagán, la lingua più meridionale del pianeta. L’annuncio della morte è stato dato, mercoledì 16 febbraio, da uno dei suoi nove figli.
Custode e divulgatrice della sua lingua madre Cristina Calderón, 93 anni – divenuta simbolo della resistenza culturale dei popoli indigeni del Cile – è morta lo scorso 16 febbraio. Portando con sé la lingua dei suoi antenati, gli Yámana, detti anche Yaghan.
Conosciuta localmente come “Abuela ” (nonna), Cristina Calderón – divenuta simbolo della resistenza culturale dei popoli indigeni del Cile – era l’ultima a parlare l’idioma del popolo indigeno più australe del pianeta: lo Yagán. Insieme a lei se ne va un pezzo di storia del popolo Yámana, detti anche Yaghan. Una delle più importanti tribù fuegine, native del Cile. Insediata nella zona più meridionale della Terra del Fuoco (principalmente a Capo Horn), ora estinta.
A due chilometri da Puerto Williams, la città più meridionale del mondo, Cristina Calderón viveva a Villa Ukika, insieme a un centinaio di discendenti Yagan. Lì, era l’unica che parlava ancora la lingua nativa. Figlia, madre, nonna, bisnonna, trisavola. e amica di molti, Cristina Calderón manteneva in vita una delle testimonianze più trascendentali per la documentazione della storia del popolo Yámana.
Riconosciuta, sia in Cile che all’estero, nel 2009 è stata proclamata “Tesoro Umano Vivente” dall’UNESCO, per aver contribuito a tramandare le tradizioni del suo gruppo etnico. Insieme a sua sorella Ursula, è stata una delle ultime madrelingua della lingua originale. Dopo la morte di Ursula, nell’aprile 2003, quel titolo è caduto sulle spalle di Cristina. Anche se non si è mai sentita l’unica o l’ultima Yámana.
Il meticciato, l’evangelizzazione anglicana e le pressioni culturali derivate dalla colonizzazione hanno rotto la catena naturale della trasmissione orale. La lingua è andata perduta con la morte dei suoi ultimi oratori.
Fino ai suoi ultimi anni, Calderón era determinata a preservare e trasmettere tutto ciò che sapeva sulla sua lingua e cultura. Insieme a sua nipote, Cristina Zárraga, ha creato un dizionario Yagán-spagnolo. Accompagnato da un CD in cui si sentono alcune parole. La nonna e la nipote hanno anche pubblicato un libro di leggende, canzoni e storie originali chiamato Hai Kur Mamašu Shis (Voglio raccontarti una storia ).
Sua figlia Lidia Calderón ha promesso, come elettore, di difendere l’eredità di sua madre e la lingua Yagán. Nonostante le sfide che ciò comporta. Sostiene infatti che: “Sebbene con la sua partenza si perda un patrimonio di conoscenze empiriche, particolarmente preziose in termini linguistici, le possibilità del salvataggio e la sistematizzazione della lingua sono aperti”.
Era diventata un simbolo della resistenza culturale delle popolazioni indigene del Cile.
Gli Yámana erano un popolo nomade che viaggiava a cavallo attraverso il Cile, fino alla Terra del Fuoco e viveva di pesca. La colonizzazione e l’incrocio fecero gradualmente fatto scomparire questo popolo, di cui Cristina Calderón era “l’ultimo Yámana etnicamente puro”. Si stabilirono come nomadi del mare nella Terra del Fuoco meridionale fino alle isole Wallaston vicino a Capo Horn, nel Cile meridionale.
Il principale mezzo di trasporto e locomozione era la canoa, con la quale gli Yámana erano soliti andare a caccia di balene e foche. La loro popolazione raggiunse le 3.500 persone prima dell’arrivo degli europei nel 19° secolo. Diminuì poi drasticamente in pochi decenni. Già all’inizio del 20° secolo, l’etnia è stata quasi completamente spazzata via dall’insediamento dei bianchi. Inoltre, gli Yámana divennero vittime di malattie infettive attraverso varie missioni della chiesa.
Oggi la loro principale fonte di reddito è il turismo, l’artigianato e il lavoro stagionale. Cristina Calderón era dedita a tessere cesti e altri lavori manuali fino alla vecchiaia. Inoltre, ha cercato di trasmettere la sua conoscenza della lingua e della cultura Yámana. Una lingua con più di 32.000 parole ma usata solo oralmente e non per iscritto.
Cristina Calderón era considerata un simbolo di resistenza culturale tra i popoli indigeni. Ha lottato per tutta la vita per preservare la sua lingua madre. Oggi, il Cile ha 1.600 discendenti Yámana (o lo 0,1% della popolazione totale del paese). La comunità più numerosa si trova a Villa Ikia, vicino a Puerto Williams, la città più meridionale del pianeta.
Secondo l’ultimo censimento del 2017 in Cile, 1.600 persone hanno dichiarato di appartenere a questo popolo originario. Queste ultime famiglie si stabiliscono nella zona di Puerto Williams, nell’estremo sud della regione patagonica di Magallanes.
“I tesori umani viventi”: quali sono e quanti sono stati riconosciuti?
L’importanza del patrimonio culturale immateriale, così come la sua salvaguardia, è ampiamente riconosciuta dalla comunità mondiale. Come dimostra il fatto che la Conferenza Generale dell’UNESCO, nel 2003, adottò la Convenzione per la Tutela del patrimonio culturale immateriale.
Secondo l’articolo 2 di questa Convenzione, il patrimonio culturale immateriale infonde nelle comunità, nei gruppi e negli individui un senso di identità e continuità. Mentre la sua salvaguardia è fonte di creatività. Tuttavia, gran parte delle conoscenze e delle tecniche rischiano di scomparire. A causa della diminuzione del numero di coloro che le praticano e del crescente disinteresse dei giovani e della mancanza di fondi.
Nel 1993, la Repubblica di Corea ha proposto al Consiglio Esecutivo dell’UNESCO la creazione di un programma chiamato “Living Human Treasures“. Il Consiglio ha adottato una decisione che invitava gli Stati membri a stabilire tali sistemi nei rispettivi paesi. Da allora sono stati organizzati numerosi incontri e workshop internazionali con l’obiettivo di diffondere il concetto e incoraggiare l’istituzione di sistemi nazionali.
I tesori umani viventi sono individui che possiedono al massimo grado le conoscenze e le tecniche necessarie per interpretare o ricreare determinati elementi del patrimonio culturale immateriale.
Spetta a ciascuno Stato membro scegliere un titolo appropriato per designare i depositi di conoscenze e tecniche, essendo indicativo il titolo di “Tesoro umano vivente” proposto dall’UNESCO.
Tra i sistemi esistenti esiste già un’ampia varietà di titoli. Maestro Artista (Francia). Custode della tradizione delle arti e dei mestieri popolari (Repubblica Ceca). Tesoro nazionale vivente (Repubblica di Corea). Custode di un importante bene culturale immateriale ( Giappone e Repubblica di Corea).
Che cos’è il patrimonio culturale immateriale?
Il patrimonio culturale immateriale, o patrimonio vivente, comprende gli usi e le espressioni. Insieme alle conoscenze, alle tecniche e ai valori ad essi inerenti. Che comunità e gruppi riconoscono come parte integrante del proprio patrimonio culturale.
Questo patrimonio viene trasmesso di generazione in generazione, principalmente oralmente. Viene costantemente ricreato in risposta ai cambiamenti nell’ambiente sociale e culturale. Infonde negli individui, nei gruppi e nelle comunità un senso di identità e continuità. E costituisce una garanzia di sviluppo sostenibile.
La tutela del patrimonio culturale immateriale è intesa come:
Le misure volte a garantire la viabilità del patrimonio culturale immateriale. Compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la conservazione, la tutela, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione. Essenzialmente attraverso l’educazione – formale e non formale – e la rivitalizzazione di tale patrimonio nei suoi diversi aspetti .
Come spiegato dall’UNESCO, questo termine include tradizioni ed espressioni viventi ereditate dai nostri antenati e trasmesse ai nostri discendenti. Sono un fattore importante nel mantenimento della diversità culturale, contribuendo al dialogo tra le culture e promuovendone il rispetto. Tra le caratteristiche elencate, si evidenzia che il patrimonio immateriale è tradizionale, contemporaneo e vivo allo stesso tempo.
In questa duplice prospettiva, conviene individuare i custodi del patrimonio culturale immateriale, alcuni dei quali saranno riconosciuti attraverso una distinzione ufficiale. E incoraggiati a sviluppare ulteriormente e trasmettere le proprie conoscenze e tecniche. Questo è il motivo per cui l’UNESCO propone che gli Stati membri istituiscano sistemi nazionali di “Tesori umani viventi”.
Inoltre, è inclusivo, rappresentativo e basato sulle comunità, gruppi o individui che lo creano, lo mantengono e lo trasmettono. Cosa possono essere? Si inserisce all’interno di questo concetto diverse espressioni come tradizioni orali, arti performative, usi sociali, rituali, atti festivi, conoscenze e pratiche legate alla natura e all’universo, nonché conoscenze e tecniche legate all’artigianato.
La perdita di Cristina Calderón porta con sé un linguaggio che, come si stima, non sarà l’unico.
Secondo l’Endangered Languages Project, un progetto che cerca di preservare e documentare tutte le lingue del mondo, ci sono attualmente circa 7.000 lingue sul nostro pianeta. E, circa la metà scomparirà nei prossimi 100 anni. Un tasso che è “senza precedenti e allarmante”.
Ci sono migliaia di lingue oggi in pericolo di estinzione in tutto il mondo. Specialmente nelle aree del Sud America, dell’Oceania o dell’Asia. Uno studio dell’UNESCO del 2006 ha stabilito che la Papua Nuova Guinea è il Paese con più lingue. Tre lingue ufficiali e circa 800 lingue attive, praticamente tutte in via di estinzione.