L’acquacoltura intensiva di gamberi in Indonesia non cessa di forzare il disboscamento delle foreste di mangrovie che proteggono le coste dalle maree. Sull’isola di Giava interi villaggi sono andati perduti, sommersi insieme alle comunità che ci vivevano e lavoravano.
Le mangrovie sono alberi molto importanti perché possono crescere e sopravvivere nell’acqua di mare. Le loro radici attraggono sedimenti e hanno la capacità di filtrare l’acqua salata rendendola acqua dolce. In Indonesia le foreste di mangrovia si estendono per 3 milioni di ettari, lungo una costa di 95,000 km. Nel 2011 l’Indonesia aveva il 23 % di tutto l’ecosistema di mangrovie al mondo(Giri et al.). Nell’arco di 15 anni l’acquacoltura intensiva di gamberi (della specie Penaeus Vannamei e Fenneropenaeus indicus), che avviene in vasche di raccolta, ha disboscato le mangrovie sulla costa.
Perché non possiamo perdere le mangrovie
Le foreste di mangrovia sono native della regione e crescono in così grande numero perché la posizione delle isole indonesiane necessita di una fascia protettiva contro le correnti. Sull’isola, le mangrovie non solo a mantengono fisso il terreno ma ne producono anche di nuovo.
Fino a 15 anni fa le mangrovie hanno impedito al mare di penetrare nella costa, erodendone i confini. Ora però, nelle acque salmastre presso le piantagioni di mangrovie, si contano ben 700 ettari di vasche per i gamberi. Le pozze si trovano proprio sulla costa, i gamberi e i pesci vi entrano trasportati dalle correnti marine; poi vengono catturati con delle reti mentre dei prodotti chimici uccidono il resto dei pesci. Molte della vasche, costruite tramite disboscamento, sono rimaste abbandonate a causa della deteriorazione del suolo. Ora, senza la protezione naturale della foresta e senza l’habitat creato dalle mangrovie, l’acqua marina è penetrata nel reticolo acquifero e tra le lingue di costa. Il villaggio di Bedono è stato uno dei casi più eclatanti di questo processo di erosione marina.
Rischi futuri dell’acquacoltura intensiva di gamberi
L’isola di Giava insieme a Sumatra sono molto allerta riguardo ai numerosi casi di sparizione costiera e di villaggi sommersi.
Se a Giava si attua un importante acquacoltura intensiva di gamberi, a Sumatra si svolge la produzione di prodotti ittici per l’esportazione, in Europa e negli Stati Uniti. L’azienda capo di queste operazione si chiama CP Prima che ha un’ area di produzione e vasche pari a di 3500 ettari. La CP ha tutte le carte in regola, incluse quelle delle certificazioni di sostenibilità ambientale dell’industria ittica: l’Aquaculture Stewardship Council (ASC) e la GlobalCap. Fino a qui tutto bene, se non che l’azienda vorrebbe espandere la sua attività su altre isole indonesiane, inclusa Giava, dato che è cresciuta la richiesta di prodotto ittico anche nel mercato interno.
Giava però ha il più alto tasso di perdita della colonia di mangrovie al mondo, si conta che circa il 70% delle mangrovie, un tempo presenti sull’isola, siano scomparse a causa dell’acquacoltura intensiva. Un altro motivo per cui è avvenuta l’inesorabile erosione della costa è stato il mancato interesse nelle abitudini dei pescatori: sono pochi i casi in cui la sostenibilità ecologica viene considerata importante. Sulle coste dell’isola vi sono molti punti dove vengono raccolti i banchi di gamberi. In questi punti sono stati gettati prodotti chimici come la saponina e il molluschicida: il risultato è visibilmente differente, acque contaminate, terre incolte e pesci morti costellano le aree in uso e in disuso dell’acquacoltura.
Tentativi di restauro della foresta
Sempre sull’isola di Giava ci sono stati dei tentativi di monitorare e proteggere il disboscamento delle mangrovie. Pescare nella laguna salmastra della foresta è assolutamente possibile, si possono infatti trovare pesci, gamberi e pure granchi. Nel villaggio di Tapak, le vasche nella foresta, sono attive da ormai cinquant’anni, senza bisogno di ricollocare la coltura in un’altra area.
Da qualche anno esistono inoltre norme e associazioni attive che cercano di contrastare il disboscamento di mangrovie per l’acquacoltura: la Mangrove Action project, la Wetlands International, la CIFOR e la UNEP hanno prodotto regole e progetti per contrastare la destabilizzazione della costa, degli ecosistemi e delle comunità partendo dal restauro delle foreste di mangrovie.
La United Nation for Environment Program (UNEP), in particolare, ha creato un progetto mondiale che collega le mangrovie al mercato volontario del carbonio blu. La deforestazione di questo ecosistema non solo causa l’erosione del terreno ma anche la liberazione di CO2. Il carbonio che si evita di liberare può essere venduto come credito verde ad altre realtà. Così la commercializzazione sul mercato del carbonio blu permette di finanziare azione e leggi per salvaguardare la vegetazione e le comunità affette da l’acquacoltura intensiva.
Il contributo Europeo
Molti dei gamberi che compriamo surgelati al supermercato o al banco del pesce provengono da queste colture intensive dell’Indonesia. In Italia ci sono impassibili test di controllo sui prodotti chimici trovati nel carne del pesce, per cui noi ne mangiamo solo di molto pulito. Si ma quanto ne mangiamo? L’ Italia importa 64000 tonnellate di gamberi alla anno, siamo secondi dopo la Spagna e la Francia. Fra questi, i gamberi che provengono dal Sud-Est asiatico sono il gamberetto indiano e il gambero tigre. Quello che possiamo quindi fare per diminuire il rischio futuro delle comunità indonesiane, è ripensare alla nostra domanda di gamberi e informarci sulla loro provenienza.
Le soluzioni articolate e complesse, che corrono in aiuto di una situazione già catastrofica, non possono fare molto nell’immediato. Senza l’inquinamento delle acque, le foreste di mangrovie stanno ricominciando a cresce, sull’isola di Giava, ma il terreno che veniva da esse mantenuto è andato perduto per sempre, così come la laguna di acqua salmastra e la possibilità di vivere in quest’area. Il contributo che possiamo dare oggi è quello di impedire l’ingrandimento dell’acquacoltura indonesiana non sostenibile, in modo che questo non causi l’ulteriore scomparsa di interi habitat preziosi.