Innanzitutto va premesso che la ricerca proveniente dall’Università del Sussex che afferma che nelle zone dove è presente acqua potabile ricca di litio il tasso di suicidi è più basso è una revisione sistematica di studi pubblicati in precedenza.
Lo dichiara fin dal titolo “Association between naturally occurring lithium in drinking water and suicide rates: systematic review and meta-analysis of ecological studies” con cui è stata pubblicata su The British Journal of Psychiatry.
Premessa a beneficio dei più informati che avranno pensato: ma gli effetti del litio sulla psiche sono ben conosciuti, non solo viene usato come trattamento per stabilizzare persone con disturbi dell’umore per prevenire il rischio di suicidi, ma fin dall’antichità erano conosciute le proprietà curative di certe sorgenti naturalmente ricche di litio, ad esempio le Lithia Springs della Georgia sacre ai nativi americani.
Il punto della ricerca guidata dal Professor Anjum Memon è che la loro revisione degli studi precedenti conferma che anche al livello di concentrazione che occorre naturalmente nelle acque potabili di alcune zone il litio ha effetti positivi sulla salute mentale della popolazione. Parliamo di acqua potabile ricca di litio, ovviamente quel ricca va inteso come relativamente, si tratta di concentrazioni molto più basse di quelle mediche.
D’altro canto l’esposizione è molto più lunga, per alcune persone potenzialmente parte fin dal momento che sono concepite e dura tutta la vita se risiedono sempre nel posto dove sono nati.
Gli studi presi in esame sono stati svolti in Austria, Grecia, Italia, Lituania, Regno Unito, Giappone e USA e mettevano in relazione i livelli di litio nelle acque potabili di 1286 tra contee, regioni e città con il tasso di suicidi.
Il prossimo passo per testare ulteriormente l’ipotesi, secondo Memon, dovrebbe essere condurre degli studi controllati randomizzati in cui aggiungere litio nelle acque potabili di comunità con dimostrate alta incidenza di disturbi mentali, comportamento criminale violento, abuso cronico di sostanze e rischio di suicidio.
Il professor Carmine Pariante del Royal College di Psichiatria, che non è tra i firmatari dello studio, ha osservato che questo studio dimostra che il confine tra supplementi nutrizionali e medicamenti non è così netto.
Roberto Todini