Achille e Ulisse: la fragilità degli eroi. Cosa vuol dire essere umani

achille e ulisse

‘’Achille lasciava esplodere le sue emozioni, fosse la collera o l’amore. Ulisse placava il suo cuore e aspettava il momento giusto per svelarne i misteri. Achille sollevava sempre il volto; Ulisse amava le maschere. Achille soffrì una volta e con tanta ferocia che giurò di non poter più provare nulla di simile; Ulisse soffrì sempre, lievemente, per non esaurire mai le forze.’’

La nostra cultura ci ha abituato all’idea che gli eroi siano i supereroi. Ma stando all’origine del termine, le cose non stanno esattamente così: eroe non significa altro se non ‘’essere umano pienamente realizzato’’. Non esiste un essere umano, cioè, che possa dirsi infallibile o invincibile. Quello che può fare però è vivere fino infondo la propria condizione di mortale, scontrarsi continuamente con la propria finitezza al punto da comprenderla nel modo più profondo possibile. Achille e Ulisse lo sapevano bene.

Accettare il fallimento

La paura del fallimento non trovò mai alcuni spazio negli eroi omerici, tantomeno in Achille e Ulisse. Ma come mai? Perché ”falliamo sempre, noi uomini’’. Così scrive Matteo Nucci in un saggio sui due grandi protagonisti omerici:

La paura di fallire va combattuta con un’altra paura, e cioè la paura di abbandonare la via che seguiamo per diventare quello che siamo.

L’eroismo non risiede mai, per l’eroe omerico, nel risultato. Perché come ben sanno tanto Achille quanto Ulisse, il successo non è mai definitivo. Il giudizio non può allora che ricadere sull’azione stessa, al di là di quello che sarà il risultato finale: poiché come Omero fa dire a Ettore, ‘’il risultato è casuale, ma non la prestazione.’’

Un essere umano realizzato non è altro che un essere umano in grado di aderire pienamente alla propria natura di uomo. E cioè alla propria fallibilità, alla propria mortalità.

Paride, l’uomo che non pianse mai

Tutti gli eroi omerici piangono. Piange molte volte Achille, mentre invoca la madre seduto su uno scoglio di fronte al mare o quando discute con Agamennone, quando muore il suo amato Patroclo e quando, all’inizio della vicenda, viene costretto a partire per la guerra.

Piange Ulisse che, finalmente approdato a Itaca, rivede il suo cane Argo, il solo in grado di riconoscere il vecchio padrone ancora mascherato: morirà sereno subito dopo avergli fatto le feste un ultima volta. Piange quando sente raccontare la sua storia da Demodoco, un cantore sull’isola dei Feaci, dove cui è ospite.

Piange anche Priamo, quando nell’ultimo libro dell’Iliade si reca alla tenda di Achille per chiedere che gli restituisca il cadavere martoriato del figlio Ettore. I poemi omerici sono un pianto continuo di tutti i suoi eroi.

Solo uno tra tutti i protagonisti dei poemi omerici non si mostra mai in lacrime. È Paride, il principe troiano da cui tutto ha avuto inizio. Il vile, codardo Paride: colui che si nasconde durante la battaglia, che ruba la donna a colui che lo ospita. L’uomo che si nasconde e non guarda negli occhi gli avversari, e preferisce scoccare frecce da lontano.

Non è un caso che gli aedi omerici non raccontino mai il suo pianto: Paride non è un eroe, e vergognarsi del pianto, della propria debolezza, è da stupidi.

Achille e Ulisse: opposti e complementari

Nel trattato Sul sublime, Schiller scriveva che l’eroe greco cerca la sua gloria non nell’insensibilità o nell’indifferenza al dolore, ma nella sopportazione dello stesso.

Per essere uomini completi, ossia per realizzare la propria umanità nell’eroismo, è necessario misurarsi con ogni parte di sé. Non esiste sfera della nostra condizione mortale che possa essere messa da parte. Meno che mai le emozioni. Chi vuole essere eroe, deve vivere fino in fondo le proprie emozioni. (M. Nucci)





Entrambi soffrono. Achille in modo irruento, Ulisse restando silenzioso: Achille l’ira e le passioni che lo colpiscono nel momento presente, Ulisse la lontananza da casa, la sua distanza dal futuro con la amata Penelope.

Achille e Ulisse, per noi, non sono altro che due modelli di vita contrapposti. Due modi per affrontare la vita e la morte: ‘’la riflessività dell’uomo maturo e l’impulsività del giovane, il desiderio di uccidere la morte schivandola e il desiderio di ucciderla disprezzandola.’’ Achille che vuole vivere il presente, Ulisse che prepara il futuro: in entrambi i casi, si soffre. Ma la fragilità è il presupposto dell’eroe.

Noemi Eva Maria Filoni

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