Accordo sul gas fra Italia e Algeria. E i diritti umani?

L’Italia si allontana dalla dipendenza del gas russo dopo l’accordo con l’Algeria, ma aggiunge un altro nome discutibile in cima alla lista dei partners commerciali.

Buone notizie per l’Italia, dopo aver siglato l’accordo per un ulteriore rifornimento di gas da parte dell’Algeria.  In aggiunta anche la firma di intese di collaborazione sul piano dello sviluppo sociale, della giustizia, della cooperazione industriale e transizione energetica.

Si parla di nuovo accordo perché lo scorso aprile c’è stato già un summit ad Algeri, dove Draghi e il premier Tebboune hanno concordato un aumento dei rifornimenti di gas. Si parla di circa 9 miliardi di metri cubi, a cui ora vanno ad aggiungersene altri 4. Per mettere le cose in prospettiva, basti pensare che a inizio anno l’Algeria ha venduto all’Italia 13,9 miliardi di metri cubi di gas. I recenti accordi stabiliscono quindi un aumento di gas molto vicino a quella cifra, andando di fatto a raddoppiare l’importazione dall’Algeria.

Si tratta di una quantità in grado di sostituire un terzo del fabbisogno annuale di gas russo per lo stato. Per questo motivo è giusto che si parli di successo in riferimento all’accordo Eni – Sonatrach.

Bisogna però tenere conto di due questioni al riguardo, prima di uscirne tutti felici e contenti.

La prima considerazione è in merito ai tempi d’attesa del rifornimento di gas algerino, che sono incentrati sul medio periodo.

Per quest’anno è stimato infatti l’arrivo di 4 miliardi di metri cubi di gas in più provenienti da Sonatrach, mentre il resto sarà ripartito nel 2023. Di fatto, si arriverà a pieno regime di rifornimento di gas dal 2024 in poi. Per questo motivo è molto difficile pensare a un’indipendenza economica immediata dai giganti russi di Gazprom.

Ma è altrettanto importante capire con che tipo di paesi fa affari l’Italia per il rifornimento di gas.

L’Algeria è lo stato delle cosiddette Primavere Algerine, dei movimenti di protesta in atto dal 2019 legati ad una situazione socio-economica dolorosa. I moti di protesta hanno avuto l’obiettivo di rovesciare il governo precedente ma sono continuati con Tebboune, il nuovo premier, ritenuto da molti continuatore del governo passato.

Il problema dell’Algeria sul piano internazionale secondo Amnesty International è che sia durante le proteste che oggi, il governo continua a perseguire ed arrestare giornalisti e attivisti legati alla primavera algerina. Spesso quest’ultimi vengono accusati erroneamente di terrorismo per poi esercitare su di loro torture e maltrattamenti una volta in carcere.

Nel paese africano è inoltre fortemente ristretta la libertà di culto al di fuori della religione musulmana e repressa la libertà delle donne.  Per quanto concerne la comunità lgbt+ in generale, sono addirittura puniti con anni di carcere i rapporti intimi omosessuali.

Se si aggiunge il fatto che nel Democracy Index del 2021 l’Algeria si pone come 113esima (poco sopra la Russia, 124esima) ed è considerata di carattere autoritario, risulta persino illogico considerare tale stato come alleato dell’Italia e dell’UE, che di fatto finanziano tale regime con gli accordi commerciali sul gas.

Paesi esportatori di gas in Italia

Non è peraltro l’unico stato di dubbia moralità da cui il nostro paese compra il gas:  Azerbaijan, Egitto, Qatar, Congo e Angola.  Fra queste nazioni non ce n’è una in cui sia tutelata la democrazia.

 

 

Business is business, direbbero alcuni. E per le condizioni di emergenza legate alla guerra, all’inflazione e alla pandemia si potrebbe anche essere d’accordo.

Tuttavia è inaccettabile che un paese economicamente forte come l’Italia debba ancora dipendere in larga parte dall’importazione per il settore dell’energia. La conseguenza del mancato rinnovamento su questo piano ora è più tangibile che mai, ma è necessaria una soluzione stabile.  Ulteriori investimenti sulle energie rinnovabili o l’utilizzo dell’energia nucleare, potrebbero risultare decisivi in questo senso.

Tentennare ancora al riguardo comporta le conseguenze di cui oggi siamo testimoni, dove gli stati che si fanno portavoce di diritti umani sono costretti ad accettare accordi con paesi segnati da soprusi e repressioni. Per quanto ancora possiamo accettare tutto questo?

Pier Paolo Nappi

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