Estensione della quattordicesima, pensionamento anticipato e lavoratori precoci, per una manovra finanziaria complessiva da sei miliardi di euro in tre anni. Sono questi alcuni punti dell’accordo sulle pensioni raggiunto da governo e sindacati lo scorso 28 settembre, a chiusura di un dibattito in corso da mesi.
In particolare, gli obiettivi condivisi dalle due parti sono di “favorire l’equità sociale, di aumentare la flessibilità delle scelte individuali, di eliminare gli ostacoli alla mobilità lavorativa e di sostenere i redditi da pensione più bassi”, come elencato in apertura della bozza d’intesa. Attorno al tavolo della trattativa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, i segretari Susanna Camusso (Cgil), Annamaria Furlan (Cisl) e Carmelo Barbagallo (Uil).
I dettagli dell’accordo
Tra le misure previste, la possibilità di accedere all‘anticipo pensionistico (Ape) per chi ha maturato entro 3 anni e 7 mesi il diritto all’uscita dal lavoro e ha almeno 63 anni. Si tratta di un prestito che il lavoratore può richiedere per finanziare la pensione fino al raggiungimento dell’età che permette di accedere a quella di vecchiaia. Nell’Ape volontario il prestito dovrà essere restituito a partire dalla data di pensionamento con rate di ammortamento dalla durata ventennale, mentre per categorie particolari è previsto un Ape agevolato con il reddito ponte interamente a carico dello Stato.
Per aumentare la flessibilità previdenziale viene definita l’opzione di una Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA), che consente al lavoratore che ha versato contributi in un fondo integrativo di attingervi prima dell’età di pensionamento.
Il governo vuole inoltre mettere fine alle penalizzazioni sulle pensioni dei lavoratori precoci nel caso di uscita dal lavoro prima dei 62 anni e mira ad anticipare di 12 o 18 mesi il pensionamento per chi ha svolto lavori usuranti.
Due gli interventi sulla quattordicesima mensilità: ne viene aumentato l’importo per gli attuali beneficiari ed estesa l’erogazione a pensionati con redditi fino a 2 volte il minimo INPS.
L’accordo introduce infine la possibilità di cumulare tutti i contributi previdenziali maturati in gestioni pensionistiche diverse senza alcun onere e introduce l’aumento della detrazione d’imposta (no tax area) per i pensionati con più di 74 anni.
Poletti: “Promessa mantenuta”
Il verbale firmato dalle parti sulle modifiche previdenziali da inserire nella prossima legge di stabilità è la sintesi della prima fase di un percorso lungo e non poco tortuoso. Come riportato nella bozza d’intesa, infatti, “il Governo e le OO.SS. concordano sull’ obiettivo di adottare alcune delle misure elencate di seguito già a partire dalla prossima legge di bilancio (“fase I”) e di tenere aperto un confronto costruttivo e di merito su ulteriori interventi di riforma previdenziale nel corso del 2017 (“fase II”)”.
L’intesa raggiunta non è dunque una garanzia assoluta dell’attuazione di tutti i punti dell’accordo, ma un impegno dell’esecutivo a fare pesare il tema previdenziale all’appuntamento della finanziaria. “Abbiamo rappresentato l’intenzione del governo di rendere disponibili sei miliardi in tre anni. Questa previsione fa i conti con il quadro generale di finanza pubblica e siccome sono interventi strutturali, avremo una distribuzione che parte più bassa e cresce nel tempo”, ha spiegato Giuliano Poletti.
Le reazioni dei sindacati
I leader sindacali hanno mostrato un tiepido ottimismo al termine dell’incontro, consapevoli di aver ottenuto un risultato buono ma non definitivo. Camusso ricorda il problema delle carriere discontinue, mentre per Barbagallo “sei miliardi non sono sufficienti”. Appare più soddisfatta Furlan, che vede finalmente “un po’ di giustizia per i pensionati”.
Ad essere rilevante è soprattutto il significato politico di questi mesi di concertazione, culminati con la sigla del verbale. Con questo accordo i sindacati si riprendono infatti quel ruolo di interlocutore privilegiato del governo che non rivestivano ormai da anni, dimostrando di poterne perlomeno indirizzare le scelte. Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi-Cgil, si fa portavoce di questo successo politico: “Dopo quattro mesi di confronto abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con il governo sulle pensioni. Erano dieci anni che non ci riuscivamo”.
Verso il referendum
L’accordo sulle pensioni segna dunque una decisa inversione di marcia del governo nel rapporto con i sindacati. Dal suo insediamento a Palazzo Chigi Matteo Renzi ha dimostrato fondamentalmente di ignorarne le richieste, in particolare sul tema della riforma del lavoro. Ora l’esecutivo dimostra di dialogare con le organizzazioni sindacali e di volerle coinvolgerle nel dibattito politico, riconoscendo loro un ruolo importante nella mediazione con i cittadini.
Questo brusco cambiamento va letto anche in relazione alla trattativa che il governo sta portando avanti con i sindacati in vista del referendum costituzionale. L’accordo sulle pensioni rappresenta infatti un’importante moneta di scambio per convincere Camusso e gli altri leader a mobilitarsi per il Sì alla riforma. Un’operazione che potrebbe spostare voti decisivi.
Stefano Galeotti