Gli Stati Uniti escono ufficialmente dall’Accordo di Parigi sul clima, l’accordo storico volto a proteggere il pianeta dal peggioramento degli impatti della crisi climatica.
In queste ore, la sfida tra Joe Biden e Donald Trump ha tenuto col fiato sospeso 300 milioni di cittadini americani, e non solo. I due candidati avevano programmi diametralmente opposti in numerosi ambiti. Sul welfare state, sulla strategia per superare la crisi del coronavirus, sui migranti, sulla sanità. Ma a dividerli sono state soprattutto le questioni climatiche e ambientali: l’accordo di Parigi. Se da un lato Trump punta all’isolamento internazionale; dall’altro, Joe Biden – oltre al rientro nell’Accordo di Parigi – punta ad organizzare un summit con i dirigenti delle industrie più inquinanti del Paese, con l’obiettivo di convincerli a diminuire le proprie emissioni di gas ad effetto serra.
Accordo di Parigi: cosa prevede
Era il 4 novembre 2016. L’Accordo di Parigi per la prima volta riuniva tutte le nazioni in una causa comune: intraprendere sforzi ambiziosi per combattere i cambiamenti climatici e adattarsi ai suoi effetti, con un maggiore sostegno per aiutare i paesi in via di sviluppo.
“L’obiettivo centrale dell’accordo di Parigi è rafforzare la risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico mantenendo un aumento della temperatura globale in questo secolo ben al di sotto di 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali e perseguire gli sforzi per limitare ulteriormente l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius. Inoltre, l’accordo mira a rafforzare la capacità dei paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici. Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi, saranno messi in atto flussi finanziari adeguati, un nuovo quadro tecnologico e un quadro rafforzato di rafforzamento delle capacità, sostenendo così l’azione dei paesi in via di sviluppo e dei paesi più vulnerabili, in linea con i propri obiettivi nazionali. ”
si legge nel comunicato dell’Onu.
L’obiettivo di Trump
A partire dalla campagna elettorale del 2016, la politica di Trump ha puntato alla crescita dell’industria americana, vedendo nell’accordo di Parigi una seria minaccia. Così, esattamente un anno fa, il 5 novembre 2019, gli Usa presentarono una richiesta formale di ritiro.
Il segretario di Stato Mike Pompeo lo annunciò su Twitter. Sottolineava con orgoglio il primato degli Usa in quanto “leader mondiale nella riduzione di tutte le emissioni, nella promozione della resilienza, nella crescita dell’economia e nella garanzia energetica per tutti i cittadini”.
Today we begin the formal process of withdrawing from the Paris Agreement. The U.S. is proud of our record as a world leader in reducing all emissions, fostering resilience, growing our economy, and ensuring energy for our citizens. Ours is a realistic and pragmatic model.
— Secretary Pompeo (@SecPompeo) November 4, 2019
A quanto pare, gli Usa avrebbero già fatto il loro dovere. Lo stesso Trump lo aveva sostenuto ad Osaka, in occasione del G20:
“Abbiamo le acque più pulite di sempre. Abbiamo l’aria più pulita di sempre. Non sono disposto a sacrificare l’enorme potenza che abbiamo costruito in un lungo periodo di tempo né tutto quello che io ho rianimato e migliorato”.
Immediata fu la risposta da parte dell’opposizione democratica, la quale aveva annunciato che, in caso di vittoria alle elezioni presidenziali del 2020, la prima mossa sarebbe stata rientrare all’interno dell’accordo.
Accordo di Parigi: cosa comporta l’uscita degli USA?
Ieri, 5 novembre del 2020, gli Stati Uniti di Trump sono stati il primo paese ad uscire ufficialmente dall’accordo di Parigi sul clima.
Sono stati necessari tre anni di attesa, secondo il protocollo delle Nazioni Unite, per rendere operativa la decisione. Ora gli USA sono tra i pochissimi paesi al mondo a rimanere fuori dal trattato, dopo che anche il Nicaragua e la Siria hanno sottoscritto l’accordo nel 2017. Ne sono fuori anche Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Sud Sudan, Turchia e Yemen. Un vero e proprio isolamento internazionale.
Gli Stati Uniti rappresentano il 14% delle emissioni globali, e hanno le emissioni pro-capite fra le più alte del mondo. In altre parole, la Cina è in assoluto il maggior emettitore, ma in media un americano emette il doppio dei gas serra di un cinese, e 8-10 volte le emissioni di un cittadino dell’India. E sono davanti all’UE di circa il 7%.
Dunque, la fuoriuscita degli USA comprometterebbe il raggiungimento della soglia di 1.5°C.
A tal proposito, gli scienziati sostengono che qualsiasi aumento oltre i 2 gradi Celsius potrebbe avere un impatto devastante su vaste parti del mondo, innalzando il livello del mare, alimentando tempeste tropicali e peggiorando siccità e inondazioni.
“Il ritiro degli Stati Uniti lascerà una lacuna negli sforzi globali per raggiungere gli obiettivi e le ambizioni dell’accordo”,
ha affermato Patricia Espinosa, segretaria esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Joe Biden, verso la Casa Bianca, promette il rientro nell’Accordo
Ma Donald Trump non aveva fatto i conti con la possibilità (più che realistica) di perdere alle elezioni: la durata di questa uscita dall’accordo di Parigi sarebbe decisamente breve, in caso di vittoria di Joe Biden. Infatti, il candidato democratico aveva già assicurato che in caso di vittoria avrebbe immediatamente (ri)ratificato il documento. Un passaggio molto più veloce rispetto all’uscita: 30 giorni a partire dal momento della notifica all’Unfccc (la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici).
Inoltre, Biden ha già reso noto un suo Piano per il clima, il Climate Plane:
“Il cambiamento climatico è una sfida globale che richiede un’azione decisiva da parte di tutti i paesi del mondo. Non solo rinnoverò l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, ma andrò molto oltre. Condurrò uno sforzo per convincere tutti i principali paesi a intensificare l’ambizione dei loro obiettivi climatici nazionali.”
Fingers crossed: incrociamo le dita!
Giulia Chiapperini