Era il 1916 quando con gli accordi Sykes-Picot vennero tracciati i confini e le sfere d’influenza che avrebbero inciso profondamente sulla storia del Medio Oriente. Quegli accordi, spesso evocati ancora oggi come simbolo dell’arbitrio coloniale, non solo disegnarono le mappe della regione che conosciamo oggi, ma posero anche le basi di molte delle tensioni e dei conflitti attuali.
All’inizio del XX secolo, il Medio Oriente era ancora saldamente ancorato al controllo dell’Impero Ottomano. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale e l’allineamento ottomano con le Potenze Centrali (Germania e Austria-Ungheria), le potenze europee dell’Intesa, in particolare Regno Unito e Francia, iniziarono a pianificare quello che sarebbe stato il futuro assetto della regione, nel caso di una vittoria alleata. In questo contesto nacquero gli accordi Sykes-Picot, firmati segretamente nel maggio 1916, allo scopo di compiere una spartizione delle province ottomane nel Medio Oriente.
Cosa sono gli accordi Sykes-Picot?
Il nome dell’accordo derivava dai due negoziatori principali: Sir Mark Sykes per il Regno Unito e François Georges-Picot per la Francia. Si trattò di un’intesa diplomatica segreta che delineava la suddivisione delle aree mediorientali di influenza britannica e francese, nel caso del crollo dell’Impero Ottomano. Al termine della guerra, queste previsioni si sarebbero concretizzate in mandati ufficiali della Società delle Nazioni, che conferirono alla Francia il controllo su Siria e Libano, e al Regno Unito quello su Iraq, Transgiordania e Palestina.
Secondo i termini dell’accordo, la Francia avrebbe ottenuto il controllo diretto sulla cosiddetta zona A, corrispondente all’incirca all’attuale costa siriaca e al Libano. Il Regno Unito avrebbe, invece, controllato direttamente la zona B, corrispondente al sud della Mesopotamia, oggi Iraq. La Palestina sarebbe stata amministrata sotto un regime internazionale, data la sua importanza religiosa per le tre grandi religioni monoteiste. Inoltre, altre aree più interne sarebbero state sotto “influenza”, ma non controllo diretto: i britannici avrebbero esercitato la loro influenza su una parte della Transgiordania e del deserto siriano, mentre i francesi avrebbero avuto una sfera d’influenza nelle regioni centrali della Siria.
Contraddizioni e promesse parallele
Uno degli aspetti più controversi degli accordi Sykes-Picot è che vennero negoziati in segreto, mentre i britannici stavano conducendo contemporaneamente altre trattative con attori locali. In particolare, è noto il carteggio Hussein-McMahon (1915-1916), in cui il governo britannico prometteva al leader arabo Sharif Hussein Ibn Ali l’indipendenza dei territori arabi in cambio di una rivolta contro l’Impero Ottomano. Tale promessa, in palese contraddizione con gli accordi Sykes-Picot, generò profonda sfiducia nei leader arabi.
A questo si aggiunse la Dichiarazione Balfour del 1917, con cui il governo britannico si impegnava a sostenere la creazione di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico in Palestina, senza consultare né gli arabi palestinesi né gli altri attori regionali. Il risultato fu una serie di promesse incompatibili, che contribuirono a gettare le basi per il conflitto arabo-israeliano e per una generale instabilità della regione.
La rivelazione dell’accordo e le reazioni
L’accordo rimase segreto fino a quando, nel 1917, fu pubblicato dal governo sovietico bolscevico dopo la Rivoluzione d’Ottobre, che rivelò al mondo le trattative diplomatiche delle potenze imperiali. La notizia causò scandalo e indignazione, soprattutto tra i leader arabi, che si sentirono traditi dai britannici. La fiducia nei confronti delle potenze occidentali ne uscì gravemente compromessa e questo alimentò il nazionalismo arabo e la diffidenza verso ogni forma di intervento europeo nella regione.
Gli effetti immediati dopo la guerra
Dopo la fine della Prima guerra mondiale, le previsioni degli accordi Sykes-Picot furono in larga parte messe in atto, sebbene con alcune modifiche. La Società delle Nazioni assegnò ufficialmente i mandati: la Francia ricevette Siria e Libano, il Regno Unito Iraq e Palestina. La Transgiordania fu inizialmente parte del mandato britannico sulla Palestina, poi separata amministrativamente e affidata all’emiro Abdullah, figlio di Sharif Hussein.
Il ridisegno del Medio Oriente non tenne conto delle realtà etniche, religiose e culturali del territorio. Stati artificiali furono creati senza consultare le popolazioni locali, favorendo la nascita di élite minoritarie filo-occidentali e dando vita alle basi per le future tensioni. Ad esempio, la Siria venne posta sotto il controllo francese malgrado la volontà dei nazionalisti arabi, scatenando così rivolte, che vennero represse con brutalità. Allo stesso modo, in Iraq, i britannici imposero un re hashemita e affrontarono numerose insurrezioni.
Le conseguenze di lungo termine
Gli accordi Sykes-Picot sono oggi considerati uno dei momenti fondativi del moderno ordine geopolitico mediorientale. La loro eredità è visibile in almeno tre direzioni.
La prima è la frammentazione degli spazi arabi: gli stati arabi vennero creati lungo confini tracciati con il righello su mappe coloniali, senza tenere conto di fattori identitari e culturali. Questo ha prodotto divisioni e conflitti tra gruppi etnici e confessionali, come sunniti, sciiti, curdi, drusi e cristiani, in paesi come Iraq, Siria e Libano.
La seconda riguarda il sospetto verso l’Occidente: le ambigue e doppie promesse britanniche e francesi alimentarono un duraturo sentimento di sfiducia verso le potenze occidentali. Questo sentimento ha contribuito alla nascita di movimenti nazionalisti, ma anche islamisti, che hanno fatto della denuncia dell’imperialismo occidentale uno dei loro cardini ideologici.
La terza è la questione palestinese: l’idea di un’amministrazione internazionale della Palestina fu superata con l’istituzione del mandato britannico e, successivamente, con la creazione dello Stato di Israele nel 1948. Le tensioni nate dalla sovrapposizione di promesse agli arabi e agli ebrei, aggravate dall’eredità coloniale, sono ancora oggi al centro di uno dei conflitti più irrisolti della storia mondiale.
La retorica del “Sykes-Picot” nel discorso politico contemporaneo
Nel XXI secolo, gli accordi Sykes-Picot sono tornati frequentemente nel discorso politico e ideologico, specialmente da parte di gruppi radicali. L’ISIS, ad esempio, ha usato il concetto di “abolizione dei confini di Sykes-Picot” come strumento di propaganda per presentarsi come forza rivoluzionaria in grado di restaurare l’unità islamica soppressa dal colonialismo. Nel 2014, dopo la conquista di ampie porzioni di Iraq e Siria, l’ISIS dichiarò simbolicamente “la fine di Sykes-Picot”, rimuovendo i segnali di confine tra i due Paesi.
Anche nei discorsi dei leader arabi, l’accordo viene spesso evocato per denunciare l’ingerenza straniera e rivendicare un nuovo ordine regionale basato su principi diversi da quelli imposti nel primo dopoguerra.
Un’eredità difficile da cancellare
Gli accordi Sykes-Picot rappresentano un esempio emblematico di come decisioni prese in ambienti diplomatici distanti possano avere effetti di lunga durata su intere regioni. L’imposizione di un ordine geopolitico senza consultazione dei popoli coinvolti ha prodotto instabilità strutturale, difficoltà nella costruzione statale e cicliche esplosioni di violenza.
Oggi, a più di un secolo di distanza, i confini creati da quell’accordo sono formalmente ancora in piedi, ma sottoposti a continue pressioni: conflitti armati, crisi di stato, movimenti secessionisti e trasformazioni geopolitiche (come gli Accordi di Abramo) continuano a rimettere in discussione l’assetto lasciato in eredità dalla stagione coloniale.