Una sentenza storica ha condannato il comandante della Asso 28, nave di appoggio di una piattaforma petrolifera che, nel 2018, aveva ricondotto in Libia 101 migranti dopo averli soccorsi in mare.
Data decisiva quella del 13 Ottobre, per il dibattito pubblico su accoglienza e immigrazione. Il Tribunale di Napoli ha condannato, a un anno di reclusione, il comandante della nave Asso 28. L’uomo è colpevole di aver consegnato 101 migranti alla guardia costiera libica, subito dopo averli soccorsi.
La fine legittima di un giusto processo
La sentenza giunge al termine di un processo scaturito da quella vicenda. Se ne era occupato, in un’inchiesta, il quotidiano Avvenire, che riporta, anche oggi, questa notizia. Fra le 101 persone c’erano minori e donne in stato di gravidanza e in Libia, com’è noto, anche donne e bambini subiscono abusi, maltrattamenti e torture, rischiando la propria vita. Per la prima volta, in Europa, si assiste a una condanna del genere. Mai, prima d’ora, il capitano di un’imbarcazione privata era stato condannato per aver eseguito un respingimento di cittadini stranieri verso la Libia. Si tratta di una sentenza storica perché colpisce un tassello fondamentale della strategia di blocco degli arrivi dalla Libia e di delega del controllo delle frontiere da parte delle autorità italiane. E conferma, ancora una volta, quanto il porto di Tripoli non sia per niente sicuro.
Il contributo di Open Arms
Sono stati assolti, dall’accusa di abuso d’ufficio, il comandante e il rappresentante della compagnia di navigazione, l’Augusta.
Varie anomalie nella gestione del caso erano venute fuori dalla registrazione, da parte di Open Arms, di alcune conversazioni. Registrazioni che furono poi acquisite dalla procura di Napoli. I magistrati hanno potuto contare, oltre che su di esse, anche su indagini svolte dalla capitaneria di porto di Napoli.
Si è espresso, in merito, il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. Lo avevano ascoltato, durante l’inchiesta giudiziaria, come persona informata sui fatti, per aver assistito alle registrazioni di Open Arms:
(…) La Libia non è un porto sicuro, lo sappiamo da tempo. Torture, soprusi, violenze, lager. Ma ora questa sentenza lo stabilisce una volta per tutte, nero su bianco. E non possiamo più fingere di non vedere.
Accoglienza e immigrazione per il rispetto delle vite umane
Continua Fratoianni:
Razzisti e sciacalli del nostro paese, possono inondare il web delle loro farneticazioni e diffondere pregiudizi e odio, ma non possono cancellare le leggi a difesa degli esseri umani e della loro dignità. Un precedente importante e significativo perché stabilisce un principio fondamentale: non si gioca con le vite delle persone. Lo sappiano tutti: gli armatori delle compagnie di navigazione, le varie Istituzioni italiane ed europee che devono, ma spesso non lo fanno, tutelare i più deboli. E lo devono sapere anche i banditi della cosiddetta Guardia Costiera libica e i loro amici trafficanti. Nessun essere umano è illegale. La solidarietà non è reato. Chiunque ha diritto ad una vita dignitosa.
La Libia non è un paese sicuro
Che la Libia non sia un paese sicuro e Tripoli un porto dove rifugiarsi è chiaro è accertato da tempo. Per migranti e rifugiati vivere in Libia significa non aver alcun tipo di diritto e alcuna possibilità di sentirsi al sicuro. Qualsiasi piccolo pretesto basta per finire in un centro di detenzione. E le strutture di detenzione equivalgono, quasi sempre, a morte certa. Sono spesso stati segnalati, durante la detenzione, casi di decesso per malattia, violenza o suicidio. Rifugiati, migranti e richiedenti asilo, anche donne e bambini, sono regolarmente sottoposti a torture, stupri e violenze di ogni genere. E tutto, purtroppo, è ampiamente documentato.
La posizione dell’ONU
Nel 2020 le Nazioni Unite hanno aggiornato la loro posizione ufficiale in merito a ciò, ribadendo che la Libia non è un paese sicuro per lo sbarco di migranti e profughi. Fino a quel momento, molta parte dell’UE, ha continuato a sostenere che siano stati fatti, nonostante la guerra civile, dei passi avanti. E ha continuato a cooperare nella cattura in mare e nel respingimento. L’Italia non è stata da meno, in tal senso. Poi, con un documento ufficiale, l’Alto commissariato ONU per i rifugiati, ha finalmente fugato ogni dubbio, affermando:
L’UNHCR-ACNUR non ritiene che la Libia soddisfi i criteri per essere designata come luogo sicuro ai fini dello sbarco dopo il salvataggio in mare.
Un passo avanti verso le legittime pratiche di accoglienza e immigrazione
A questo punto, ogni collaborazione nei respingimenti costituisce una violazione del Diritto Internazionale. E la sentenza riguardante la Asso 28 è la dimostrazione che non si tratta più di un parere negoziabile.
Il fatto che la giustizia italiana, oggi, segua queste norme e le applichi, è una prima vittoria su un tipo di politica che calpesta i valori di solidarietà legati ad accoglienza e immigrazione. È una risposta all’ormai celebre “aiutiamoli a casa loro” che, partito come monito e proposito opportunista di certa politica, è diventato un motto populista per eccellenza.
A chi lo dice ancora si potrà obbiettare che no, non li possiamo aiutare a casa loro. A casa loro muoiono di sicuro. E, adesso, la legge lo impedisce perché sta, finalmente, passando dalla parte degli esseri umani.