La lotta al cambiamento climatico, suddivisa nei due orizzonti temporali del 2030 e del 2050 per raggiungere la neutralità carbonica, è un percorso a ostacoli. La comunità internazionale deve combattere su più fronti. È questo l’unico modo per evitare che il processo di surriscaldamento del pianeta, il depauperamento della biodiversità e delle risorse naturali diventi irreversibile. La pandemia di coronavirus è un fattore che rischia di fare la differenza. Per ora ha permesso un’accelerazione a livello politico. Ma inevitabilmente il mondo correrà a velocità diverse.
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Dopo le centrali a carbone, l’industria dell’acciaio emette nell’atmosfera il maggior quantitativo di anidride carbonica. Secondo il World Steel Association, a partire dal 2017 il settore ha generato in media 1,85 tonnellate di biossido di carbonio (CO2) per ogni tonnellata di acciaio prodotta. Le emissioni calcolate sono quelle dirette, circa il sette-nove per cento dell’inquinamento derivante dall’utilizzo dei combustibili fossili a livello mondiale.
L’organizzazione, che riunisce le più importanti aziende siderurgiche, rappresenta a oggi circa l’80 per cento dell’acciaio prodotto a livello globale. Tra i membri del World Steel Association si discute di cambiamento climatico e di come ridurre al minimo l’impatto di un settore profondamente trasversale, legato a importanti fette di mercato, e che dal 1850, da quando è stato messa a punto la produzione a basso costo dell’acciaio, ha di fatto rivoluzionato lo sviluppo della società.
Acciaio verde
Il World Steel Association sta elaborando diverse soluzioni per ottenere l’efficienza energetica degli impianti siderurgici e tagliare le emissioni di anidride carbonica. Uno dei primi passi è puntare alla qualità delle materie prime. Dal minerale da cui si estrae il ferro e altri componenti impiegati per produrre l’acciaio dipende una cospicua parte dell’inquinamento generato dal settore. L’acciaio prodotto a livello mondiale infatti comprende quattro tipologie con caratteristiche e processi diversi. Il 90 per cento è costituito da acciaio di carbonio, tra i meno resistenti alla corrosione e a basso costo.
Si parla di acciaio “verde”. Di acciaio sostenibile. Ma quanto è concreta la prospettiva di rendere a impatto zero una industria pesante come quella siderurgica?
Il dibattito è molto forte nell’Unione europea. Attraverso il Just Transition Fund e il Next Generation Eu, l’Ue è intenzionata ad aiutare gli Stati europei. Essi però viaggiano a velocità diverse. Come dimostra il piano europeo di smantellare le centrali a carbone che hanno un ruolo ancora importante per le economie dell’Est Europa.
Tecnologie e fonti energetiche
Grazie alle partnership tra aziende e le risorse degli Stati, l’industria siderurgica punta a sviluppare almeno tre tecnologie che consentirebbero di ridurre le emissioni di anidride carbonica e di convertire i processi produttivi dell’acciaio, abbandonando gradualmente il carbon coke tradizionalmente utilizzato per alimentare gli altoforni.
Gli strumenti indicati dal World Steel Association sono la Carbon Capture and Storage (CCS) e la Carbon Capture and Utilisation (CCU). Il settore guarda poi con ottimismo e interesse all’idrogeno. Nel medio periodo all’idrogeno “blu”. Il CCS per esempio è pensato per coniugare l’uso di questo gas con l’abbattimento della anidride carbonica che viene sequestrata e stoccata nel sottosuolo. Per farlo è necessario riconvertire gli impianti di produzione dell’acciaio.
Un processo lungo e complesso che ha bisogno di ingenti investimenti. Negli ultimi venti anni la produzione globale dell’acciaio si è andata via via riducendo. Una contrazione che è dipesa anche dalla crisi finanziaria del 2008 e dai suoi strascichi sulle economie reali. E che ora subisce gli effetti della recessione causata dalla pandemia di coronavirus che non è ancora certo quando finirà.
Infine, il CSU è una tecnologia con la quale è possibile riciclare le componenti prodotte dai gas inquinanti per l’industria chimica. Tra le altre possibili soluzioni il World Steel Association indica anche le biomasse e l’elettrolisi, a oggi uno tra i processi più costosi per alimentare gli impianti siderurgici.
L’idea dell’acciaio verde nel contesto attuale
Dall’ultimo rapporto annuale del World Steel Association emerge una riduzione della produzione di acciaio. Il settore è in crisi. Ma resta ancora economicamente strategico per gli Stati sia per i consumi interni sia per le esportazioni. L’Unione europea è una delle regioni in cui viene prodotto più acciaio, con la Germania, l’Italia, la Spagna l’Austria, la Polonia, il Belgio e la Svezia come capofila.
A livello mondiale però è la Cina a detenere il primato. Pechino ha già dichiarato che non raggiungerà la neutralità climatica prima del 2060, dieci anni dopo la data fissata dall’accordo di Parigi. Il paese infatti toccherà il picco delle emissioni a partire dal 2030, anno in cui Unione europea e Stati Uniti vorrebbero invece realizzare il declino irreversibile delle emissioni inquinanti.
I primi progetti pilota
Intanto, l’Unione europea ha compiuto un primo passo. A settembre 2020 infatti la Svezia ha avviato un impianto pilota che sfrutta l’elettricità e l’idrogeno “verde” per produrre l’acciaio. L’obiettivo è estendere il progetto su tutto il territorio svedese e in Finlandia entro il 2026.
In Austria, nella località di Krapfenberg, una delle acciaierie più grandi al mondo è già alimentata a idrogeno. In entrambi i casi le aziende coinvolte, non solo europee e locali ma anche straniere, hanno dichiarato che la produzione dell’acciaio su base minerale verrà ridotta. L’idrogeno infatti non permetterebbe di mantenere gli stessi livelli produttivi del carbon coke che però a sua volta va prodotto e comporta dei costi a carico degli impianti siderurgici.
Il progresso tecnologico, la ricerca e lo sviluppo hanno contribuito molto a ridurre l’impatto ambientale del settore. Da quando è esplosa la produzione dell’acciaio negli anni Settanta sino alla prima crisi nel 1985, l’industria siderurgica ha tagliato le emissioni di anidride carbonica del 50 per cento. Questo fino al 1990. Dagli inizi degli anni Novanta al 2005, l’inquinamento è stato ridotto del 20 per cento. Segno che è necessario compiere un passo ulteriore.
Di acciaio verde si discute anche in Italia
Nel 2018 quattro aziende italiane che producono acciaio hanno aderito al documento programmatico sullo sviluppo sostenibile del World Steel Association. Nel nostro paese si è parlato di impiegare l’idrogeno “blu” per produrre acciaio, riconvertendo lo stabilimento dell’ex Ilva – Arcelor Mittal di Taranto.
Si punta il dito contro l’ Eni che ne ha prospettato l’uso con l’intenzione di sfruttare il metano ma utilizzando i soldi del recovery fund. Eppure di idrogeno si parla anche per altri impianti siderurgici, come quello di Dalmine, il primo in Italia a essere alimentato a idrogeno “verde”. Un progetto che ha coinvolto Snam.
Purtroppo per l’ex Ilva non sarà facile ripartire. Essa resta il simbolo di una gestione senza scrupoli, in cui i privati sono riusciti a trarre vantaggio dall’assenza dello Stato. Va avanti il processo contro la famiglia Riva. Sono passati undici anni dall’inizio del procedimento “Ambiente svenduto” per il presunto disastro ambientale causato dallo stabilimento siderurgico, a partire dagli anni Novanta. E la crisi dell’azienda, che si trascina dal 1985, è ancora intatta. L’ex Ilva è di fatto il dramma dell’abbandono. Del lavoro. Della salute. Dell’ambiente.
Gli ostacoli alla rivoluzione green dell’acciaio
Alcuni dipendono dalle scelte politiche, altri invece, dalla leale collaborazione tra pubblico e privato. Lo sviluppo dell’idrogeno su larga scala è ancora in fase embrionale.
A stabilire se si tratta di una scommessa promettente sarà il mercato, perché è prioritario abbattere i costi di produzione delle fonti rinnovabili. Ma anche il ruolo assunto dallo Stato. Che dovrebbe rimanere quello di controllore e decisore, altrimenti il rischio è che prevalgano solo le distorsioni: sussidi ambientalmente dannosi, greenwashing.
Nelle industrie strategiche come quella dell’acciaio la partecipazione dello Stato conta molto, soprattutto oggi, che l’ambiente è parte del dibattito pubblico e (ci auguriamo nei fatti) dell’agenda politica. Anche perché, l’orizzonte temporale per evitare il peggio è ravvicinato e siamo costretti ad aspettare che passi del tutto la tempesta del Covid-19. Coscienti purtroppo che per ora il mondo continua a marciare a velocità diverse.
Chiara Colangelo