Accabadora, o colei che accompagna verso la morte

accabadora

Accabadora è una parola sarda che indica la ‘femina agabbadora’, colei che porta alla fine. Sembra che questa parola abbia origine spagnola. Infatti, ‘acabar’ in Spagnolo significa ‘terminare’.

Ma chi è l’accabadora? Ed è una figura reale o appartiene solamente al mondo della superstizione?

L’accabadora ha a che vedere con la morte. E’ infatti colei che, dopo aver fatto visita ad una persona moribonda dietro richiesta dei suoi famigliari, quando si rendeva conto che non c’era più niente da fare, semplicemente poneva fine alle sue sofferenze. Uccidendola.

Si presentava al capezzale del malato vestita di nero, con il volto coperto e lo soffocava con un cuscino, oppure lo colpiva sulla fronte con un bastone di ulivo, o ancora lo strangolava. Si dice anche che si occupasse di togliere dalla stanza gli oggetti cari al moribondo e tutte le immagini sacre, per facilitare la separazione del corpo dall’anima. E non chiedeva nessun tipo di compenso economico, perché questo andava contro i dettami della superstizione e della religione. Queste donne erano estremamente rispettate dalla società, perché svolgevano un ruolo considerato importante.




E’ una figura interessante, che ha a che vedere con la Sardegna e che ci rimanda ad un mondo dimenticato, fatto di una sua ritualità intorno alla morte. Una ritualità che è cambiata nel tempo, e che in un certo modo stiamo anche un po’ perdendo.  Una figura che ci rimanda ad un tema come l’eutanasia , oggi come mai al centro dei conflitti tra scienza ed etica. Conflitto esistente anche ai tempi dei Greci.

Nel giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.), infatti, si legge:

Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.

Allo stesso tempo, però, gli individui deboli che non erano in grado di sopravvivere venivano uccisi, basti pensare alla società spartana, nella quale la guerra era il centro del mondo, ed esserne inadatti era una condanna.

La figura dell’accabadora ci rimanda alla bella morte, intesa non come morte eroica, ma come morte dignitosa.

E, nonostante se ne parli, non ci sono delle prove effettive sull’esistenza di queste donne votate a facilitare il trapasso tra il regno dei vivi e quello dei morti.

Ad oggi, parlare di “morte assistita” significa mettere un piede su un campo minato. Questo soprattutto in uno stato cattolico come l’Italia.

Nel 2006, anno in cui Piergiorgio Welby chiese di ricevere l’eutanasia, la chiesa si espresse così:

Chi ama la vita si interroga sul suo significato e quindi anche sul senso della morte e di come affrontarla […] Ma non cade nel diabolico inganno di pensare di poter disporre della vita fino a chiedere che si possa legittimarne l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di umana pietà

Una simile affermazione tradisce una grande mancanza di empatia, e spinge a pensare che un mondo così ‘evoluto’ e cosmopolita come il nostro, così lontano dalla Sardegna rurale, sia quanto mai lontano anche dal concetto di umanità.

Sofia Dora Chilleri

 

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