E’ già dibattito sull’abrogazione delle sanzioni disciplinari per gli alunni delle scuole primarie: la Camera ha approvato il superamento della vecchia disciplina con soddisfazione degli addetti ai lavori. Per la sfida dell’educazione, però, non cambia molto.
Risalgono a un Regio decreto del 1928 le sanzioni disciplinari che il disegno di legge approvato ieri alla Camera punta a eliminare. L’emendamento è stato proposto dalla Commissione ed è stato approvato dalla Camera con 451 voti a favore e 3 astenuti e passerà ora al Senato. La misura riguarda un pacchetto di modifiche più ampio, che prevederebbe anche l’inserimento di 33 ore annuali di educazione civica sin dai primi anni di scuola.
Per quanto riguarda le punizioni, la legge del 1928 fa riferimento a sanzioni disciplinari “verso gli alunni che manchino ai loro doveri”. Vi rientravano l’ammonizione, la nota sul registro con comunicazione scritta ai genitori, la sospensione (da uno a dieci giorni di lezione), l’esclusione dagli scrutini o dagli esami della prima sessione, l’espulsione dalla scuola con perdita dell’anno. Secondo il Miur, l’emendamento approvato alla Camera punta a “rafforzare la collaborazione con le famiglie“, estendendo alla scuola primaria il Patto educativo di corresponsabilità valido per i successivi gradi di istruzione. Effettuata l’abrogazione, toccherà poi però ai regolamenti di istituto delineare come avverranno gli interventi educativi.
Il parere positivo dei dirigenti scolastici
L’intervento del legislatore ha però aperto il dibattito sulle punizioni in classe e sull’opportunità della misura. Molti sono stati i dirigenti scolastici a esprimersi positivamente sull’abrogazione di sanzioni disciplinari ritenute obsolete. Altri, invece, si sono dichiarati tiepidamente soddisfatti per quella che si definisce una “non-notizia“.
“Si tratta di un regolamento che non si usa più da 20 anni – ha commentato Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi. “Di fronte a comportamenti sbagliati ci sono comunque reazioni da parte della scuola, come quella di chiamare la famiglia per concordare soluzioni da adottare”.
Le critiche e il “condono educativo”
Critici invece alcuni esperti, tra cui Vittorio Lodolo D’Oria, esperto nel famigerato “stress da cattedra” che definisce l’intervento legislativo come una deriva. L’abrogazione, infatti, punterebbe a eliminare tutti gli strumenti educativi di cui l’insegnante dispone per arginare fenomeni critici, come ad esempio il bullismo. Parere simile è quello espresso dallo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, che parla di “condono educativo”. Pur essendo favorevole alla disapplicazione di una norma concepita in altri tempi e in altri contesti educativi, infatti, Crepet sostiene che questa abrogazione porti a un vuoto normativo e, quindi, nel concreto, a un vuoto di autorità tra i banchi di scuola. Sempre secondo lo studioso, dunque, sarebbe positivo il superamento del decreto del 1928, ma solo con l’introduzione di altre misure.
La punizione ha ancora senso oggi?
Superato il punto di vista legislativo, la letteratura sul tema è vasta e non sempre concorde. Dubbi sulla valenza della punizione in quanto metodo educativo sono emersi, soprattutto quando, a cavallo degli anni Sessanta del Novecento, la Carta Sociale Europea ha inserito il divieto delle punizioni corporali nelle scuole. Nel XX secolo, ricerche di carattere psicologico e psicoanalitico, svolte per esempio da Bettelheim, Woods Winnicott e Miller, hanno evidenziato la scarsa utilità e persino la nocività di un approccio educativo basato sulla punizione.
In un periodo come questo, però, come risolvere l’emergenza educativa, quando viene a mancare la sanzione? Alcuni pedagogisti hanno auspicato il riempimento di questo vuoto con l’introduzione di “punizioni creative”. Dinnanzi alla punizione degli insegnanti, sembra essere un buon compromesso quello della riparazione. Il fine sarebbe quello di far comprendere anche a un bambino ancora molto piccolo il disvalore della sua condotta. Il percorso però necessiterebbe di un’alleanza tra scuola e famiglia, per la comprensione delle realtà reciproche e per la definizione di linee guida univoche e ottimizzanti per l’alunno.
Da questo punto di vista, sembra però che l’attivazione del percorso educativo sia demandato alla volontà dei singoli e non istituzionalizzato. Non basterebbe quindi, come sostiene Crepet, stralciare la disciplina del vecchio decreto ormai comunque abbandonata de facto. Il fine dovrebbe essere l’evoluzione sostanziale del rapporto tra insegnanti, alunni e famiglie. Per quanto simbolicamente importante, la mossa della Camera, però, non sembra muoversi in questa direzione.
Elisa Ghidini