Negli ultimi giorni è esploso il tema dell’aborto negli Stati Uniti a seguito di una legge, nello stato dell’Alabama, che lo rende illegale
Rispetto all’Europa, il dibattito sull’aborto negli Stati Uniti è ben più acceso e violento. I motivi sono principalmente legati alla capillare diffusione delle “sette” protestanti (metodiste, quacchere, evangeliste, luterani, presbiteriani e così via). Sette spesso legate a un conservatorismo e a un tradizionalismo cieco ed esasperato. Un tradizionalismo che, ad esempio, impedisce di regolamentare l’uso e la vendita di armi, nonostante le sparatorie e i morti quotidiani, in virtù del fatto che le armi “da sempre fanno parte della storia americana“, con il mito della frontiera prima e con l’esportazione della democrazia poi.
Per capirci, è come se qui in Italia rifiutassimo di andare a scuola perché l’analfabetismo diffuso è stata una caratteristica peculiare dei nostri padri fondatori.
Ma torniamo al tema centrale. L’Alabama non è l’unico stato ad aver approvato norme contro l’aborto e per la sua criminalizzazione. Sono infatti una decina gli stati, tutti del sud e dell’ovest, che stanno discutendo e varando norme simili. Mentre il governo federale non ha alcuna voce in capitolo. Le leggi sull’aborto, infatti, sono di pertinenza dei singoli stati. L’unico organo federale a poterle invalidare è infatti la Corte Suprema, nel caso in cui queste leggi risultassero in contrasto con la costituzione.
La Corte Suprema
Nel 1973 è stata proprio la Corte Suprema, con una storica sentenza (Roe Vs Wade), a dichiarare il diritto all’aborto. In particolare la sentenza affermava che ogni persona ha la piena libertà di scelta per quanto concerne la sua “sfera” più intima, privata e individuale. Con questa sentenza l’aborto diveniva quindi costituzionalmente legittimo e molte leggi antiabortiste furono quindi invalidate.
Sono passati parecchi anni dalla storica sentenza ma l’America continua ad essere spaccata in due. Da un lato i Democratici “liberal” a favore dell’aborto e dall’altro, ovviamente, i repubblicani populisti, ovvero ciò che potremmo definire “lo zoccolo duro” dei sostenitori di Trump. Difficile inoltre non notare la relazione tra il riemergere di queste spinte antiabortiste e la scalata alla Casa Bianca del Tycoon.
La situazione attuale
Alla luce delle nuove leggi, i liberal e anche buona parte delle donne repubblicane hanno fatto appello alla Corte Suprema, nella speranza che possa nuovamente confermare la sentenza del 1973. L’esito di questo appello, però, è tutt’altro che scontato. La Corte, infatti, caratterizzata negli anni passati da una qualche maggioranza democratica, si trova oggi in mano ai repubblicani grazie ai tre giudici che Trump ha avuto modo di nominare. Difficile quindi prevedere un risultato.
Va però detto che i giudici, spesso e volentieri, sono stati in grado di distanziarsi dalla fazione politica di appartenenza, merito anche delle grandi immunità concesse loro. Non è dunque impensabile che una Corte a maggioranza repubblicana scelga di pronunciarsi a favore dell’aborto, magari appellandosi ai diritti espressi nel Bill of Rights (i primi dieci articoli della costituzione) o a quelli espressi nella Dichiarazione d’indipendenza, come la libertà o, in ultima istanza, il diritto alla ricerca della felicità: una magnifica espressione che ogni costituzione, forse, dovrebbe adottare ma che negli Stati Uniti, negli ultimi anni, sta subendo un processo di distorsione violento e insano. Da diritto alla ricerca della felicità sembra che tutto si stia condensando nel “diritto alla difesa del mio concetto di felicità“.
Distorsione triste e riduttiva per uno dei concetti costituzionali più belli e, forse, più poetici in assoluto.
Andrea Pezzotta