In questi giorni in Cile il Congresso sta discutendo un progetto di legge sulla depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Segno che il riformismo di matrice progressista in tema di legislazione sull’aborto che si è recentemente registrato in Argentina può dare un impulso al cambiamento anche oltreconfine. Uno scossone in termini di coscienza collettiva, che potrebbe estendersi ed essere fonte d’ispirazione persino per un Paese, il Cile, il cui governo è connotato da una posizione decisamente conservatrice in tema di diritti civili.
L’eventuale realizzazione della strada che porta all’aborto legale in Cile è un perfetto contraltare del clima che invece si respira in alcuni paesi esteuropei. Polonia e Cile, ad esempio, si trovano sostanzialmente sullo stesso punto di partenza in tema di legislazione sull’interruzione di gravidanza. In questi due Paesi l’aborto è illegale salvo che in caso di rischio per la vita della madre, problemi di salute fisica o mentale, stupro e/o malformazione del feto. Ma le attuali tendenze legislative sono diametralmente opposte. Quel che più stupisce è che la direzione retrograda è quella dell’esecutivo del Paese che rientra nei confini Europei.
I primi passi per l’aborto legale in Cile
L’ordinamento giuridico cileno, così come quello della maggioranza dei paesi latinoamericani, definisce l’aborto un delitto. Dal 2018, grazie all’azione dei movimenti popolari, del Tavolo Azione per l’Aborto e di alcune deputate, il tema della depenalizzazione dell’aborto ha avuto un consistente risalto nel discorso politico e nella pubblica opinione. Sino a dare il via, oggi, all’iter parlamentare che potrebbe portare alla conquista dell’aborto legale in Cile fino alla quattordicesima settimana. È attualmente in corso il dibattito sulla proposta di legge alla Commissione delle donne ed equità di genere. Secondo le previsioni più accreditate, la Camera potrebbe votare a favore della legge, ma il problema sarebbe riuscire a superare lo scoglio del Senato.
L’aborto legale in Cile è anche un tema di disparità sociale. Verónica Ávila, attivista femminista, racconta che
“Oggi a morire per abortire in maniera illegale sono le persone più povere e quelle che hanno meno accesso a reti femministe e solidali e che quindi non possono pagare aborti illegali in cliniche private.”
L’esempio virtuoso dell’Argentina
La legalizzazione dell’aborto in Cile potrebbe essere il primo tra gli effetti a catena dello storico traguardo raggiunto in Argentina poche settimane fa. L’approvazione di una legge di civiltà che sostituisce la norma obsoleta risalente al 1921 che considerava l’aborto un delitto, con le sole eccezioni dei casi di stupro o di rischi per la vita della madre. L’Argentina è un Paese pioniere dell’America Latina in termini di conquiste nel campo dei diritti civili. Complice un indirizzo politico di impronta progressista, negli ultimi anni erano già stati garantiti matrimonio gay e riconoscimento di genere.
La conquista della depenalizzazione dell’aborto fino alla quattordicesima settimana è stata una battaglia che ha richiesto più tempo e maggiore sforzo, per poi trovare finalmente compimento negli ultimi giorni del 2020. Già nel 2018 infatti questo disegno di legge era stato approvato alla Camera, ma non aveva ottenuto i voti in Senato, complici le pressioni del fronte conservatore e della Chiesa. È però da sottolineare l’impulso positivo che ha avuto l’influenza di Papa Francesco per l’approvazione del progetto di legge. Il capo della Chiesa cattolica, di nazionalità argentina, è stato da sempre, come è noto, abbastanza aperto nei confronti dei diritti sociali e civili.
Due diversi indirizzi politici, due differenti gradi di difficoltà
Una delle differenze sostanziali tra Argentina e Cile nelle rispettive battaglie per la depenalizzazione dell’aborto sta nel differente apporto del governo in carica alla causa. Alberto Fernández, presidente argentino in carica, è vicino alle idee del Pontefice e ha sempre ribadito, sin dalla campagna elettorale, di essere un convinto promotore della legalizzazione dell’aborto. Volendo abbozzare l’utilizzo di categorie non perfettamente congrue per definire la politica latino-americana, possiamo sostenere con un certo grado di approssimazione che l’attuale governo argentino è collocabile ideologicamente nel centrosinistra dello spettro politico. Per l’esattezza, si tratta di una coalizione di forze di tradizione socialista e correnti di sinistra del peronismo.
Situazione diversa in Cile, in cui il Presidente in carica Sebastián Piñera e il suo governo sono dichiaratamente degli strenui oppositori del progetto di legge che garantirebbe l’aborto libero, legale e sicuro anche nel loro Paese. Rinnovamento Nazionale, il partito al governo, ha delle posizioni fortemente conservatrici, ed è il risultato della sintesi di alcune forze politiche che sostennero la dittatura militare di Pinochet. Ad alimentare la volontà di ottenere questo fondamentale diritto in Cile è quindi l’azione dei movimenti sociali, che traggono giovamento dalla debolezza e dalla scarsa legittimazione del Presidente.
L’oscurantismo polacco
L’idea della libera scelta della donna come precondizione essenziale per un paese che possa definirsi civile che si fa strada in alcuni Paese dell’America Latina è in controtendenza con i propositi di alcuni governi ultraconservatori, sovranisti e caratterizzati da un evidente fanatismo religioso dell’Est Europa. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito ai reiterati tentativi del governo polacco di rendere ancor più restrittiva la regolamentazione delle casistiche in cui consentire l’aborto. La legge polacca in tema di aborto è quella meno tollerante in tutto l’Occidente, ma il progetto del governo è quello di vietare l’interruzione di gravidanza anche in caso di malformazione del feto.
L’ultimo tentativo dell’esecutivo polacco risale allo scorso ottobre ed è stato attuato attraverso una sentenza del tribunale costituzionale. Nemmeno la situazione pandemica ha però impedito alla società civile di ribellarsi scendendo in piazza per protestare, costringendo il governo a fare marcia indietro e scongiurando (per il momento) il pericolo. Ma il retaggio culturale estremamente conservatore del Paese e l’enorme influenza delle frange più radicali della Chiesa cattolica, non lasciano presagire che la questione sia risolta definitivamente.
L’ internazionale antiabortista
Sempre nell’ottobre 2020, la Polonia è stata uno dei 33 Stati firmatari della “Dichiarazione di Ginevra sulla salute delle donne e il rafforzamento della famiglia”. Con questo documento, promosso da Trump e sottoscritto da altri paesi esteuropei come Ungheria e Bielorussia, si sostiene che non esiste a livello internazionale un diritto all’aborto e pertanto lo Stato non è tenuto a garantire la libertà di interrompere una gravidanza indesiderata. Lo scorso maggio, inoltre, Polonia e Ungheria hanno respinto l’adesione alla Convenzione di Istanbul sulla violenza domestica, poiché a loro avviso sarebbe “influenzata dall’ideologia gender”. Sembrerebbe trattarsi dei primi tasselli atti a cementificare un’alleanza conservatrice che nega diritti alle donne e promuove la “famiglia cristiana tradizionale”.
Aborto legale in Cile: la possibile seconda tessera di un effetto domino
Il paragone che emerge tra Cile e Polonia è alquanto emblematico. La società civile si rende in entrambi i casi protagonista per sopperire all’azione di governi che vorrebbero negare una libertà non ancora riconosciuta dai rispettivi ordinamenti. Una delle differenze sta nei differenti rapporti di forza tra le parti che si ha nei due casi. In Polonia si gioca in difesa, cercando di scongiurare un’ulteriore limitazione della libertà di scelta della donna. In Cile invece l’obiettivo dei movimenti sociali è quello di farsi carico di una battaglia per il progresso che garantisca la possibilità di un aborto legale e sicuro.
L’approvazione dell’aborto legale in Cile sarebbe oltretutto una conquista dal forte valore simbolico. In America Latina, infatti, la strada da percorrere è ancora moltissima. In alcuni Paesi l’aborto è vietato in ogni caso e il semplice sospetto di aver interrotto volontariamente una gravidanza è punito con una condanna fino a 30 anni di carcere. Chi può permetterselo abortisce clandestinamente in cliniche private, chi non ha la possibilità economica di farlo rischia la vita. L’auspicio è che il Cile possa divenire la seconda tessera di un effetto domino innescato dall’Argentina che si diffonderà in altri Paesi limitrofi.
Marco Giufrè