Aborto farmacologico in Piemonte: uomini che decidono del corpo delle donne

aborto farmacologico in Piemonte: il mio corpo, la mia scelta

fonte: photopin.com

Aborto farmacologico in Piemonte: la Regione, con una circolare inviata a tutte la ASL e ASO piemontesi, ha posto il divieto all’aborto farmacologico attraverso la somministrazione della pillola abortiva RU486 nei consultori. Obbligatorio il ricovero ospedaliero. Una circolare che si pone in netto contrasto con le linee di indirizzo date ad agosto da parte del Ministero della Salute.

Il quadro che emerge raffigura un’Italia in cui le Regioni, e gli ospedali, vanno in ordine sparso, non riuscendo a garantire in maniera capillare e universale un diritto fondamentale per le donne. Quello all’aborto, infatti, è un diritto.

Aborto farmacologico in Piemonte: i punti della nuova circolare

Ancora una volta, uomini che decidono del corpo delle donne

Il presidente della Regione Piemonte, l’assessore alla Sanità e l’assessore agli Affari legali sottolineano che i punti della circolare rispondono alla volontà di garantire il pieno rispetto di tutte le disposizioni della legge nazionale 194/1978.

“Difendere il ruolo di informazione, approfondimento e assistenza dei consultori, riconosciuto dalla legge 194, rispetto al tentativo di Speranza di trasformarli in luoghi di esecuzione dell’aborto, insieme alla decisione di consentire sportelli informativi del volontariato pro vita negli ospedali, è una vittoria non tanto e non solo di Fratelli d’Italia, ma della libertà di scelta della donna, perché una vera scelta è tra due possibilità

ha dichiarato l’assessore regionale agli Affari Legali, Maurizio Marrone.




Aborto farmacologico in Piemonte: l’arte della manipolazione

Quello che vogliono far credere è che si tratterebbe di garantire la piena libertà di scelta della donna: interrompere volontariamente la gravidanza o proseguirla “superando le cause che potrebbero indurre all’interruzione con la tutela sociale della maternità”. Ma anche di garantire il perseguimento di pratiche abortive rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna, della sua dignità personale e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza.

Questa è l’arte della manipolazione.

Cosa si intende per “tutela sociale della maternità”? Sportelli dei Pro Vita negli ospedali. E per “pratiche abortive rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna, e della sua dignità”? Ricovero ospedaliero di 3 interminabili giorni, sotto lo sguardo giudicante di infermiere e volontari Pro Vita, e magari di un crocifisso alla parete.

Obbligare le donne a un’ospedalizzazione di giorni scoraggia molte di loro a praticare questo metodo di interruzione farmacologica di gravidanza, invece molto più sicuro, economico e meno invasivo di quello chirurgico. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), infatti, l’aborto farmacologico può essere autonomamente gestito in sicurezza dalle donne entro la dodicesima settimana di gravidanza.

Qui, di dignitoso non è rimasto nulla.

Secondo le Nazioni Unite, le leggi che criminalizzano l’aborto

“infrangono la dignità e l’autonomia delle donne, limitando severamente il processo decisionale delle donne in relazione alla loro salute sessuale e riproduttiva.”

Eppure l’assessore Marrone si dice “felice” per l’adozione di questa linea politica. Tuttavia, citando lo scrittore-filosofo-politico francese François-René de Chateaubriand,

“La vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità.”

E qui, il prezzo da pagare è troppo alto: si tratta della nostra vita, del nostro corpo. A nome di tutte le donne.

Giulia Chiapperini

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