La proposta della deputata del Movimento 5 Stelle Maria Pallini punta all’abolizione del valore legale della laurea nei concorsi pubblici. In particolare la proposta punta al divieto di inserire il voto di laurea come requisito nei concorsi pubblici: basterà avere un diploma.
Il valore legale di un titolo di studio indica quanto esso sia valido, ufficiale e riconosciuto dalla legge. Per titolo di studio si intende invece un certificato che attesta l’apprendimento di determinate conoscenze e competenze durante il corso di studi.
La laurea in pratica attesta la preparazione di una persona in un determinato campo, che viene poi oggi richiesta in determinati concorsi pubblici. La laurea viene valutata anche in funzione del voto finale, indice della qualità del percorso effettuato.
Su questo però il Governo non è d’accordo, e propone l’abolizione del valore legale della laurea. “Abolizione del valore legale della laurea” significa che una laurea in Economia risulta equivalente ad una laurea in Lettere perchè private entrambe del loro valore legale specifico. Il grillino Carlo Sibilia, attuale sottosegretario al ministro dell’Interno, nella scorsa legislatura aveva presentato un proposta simile a quella della deputata Pallini e sosteneva:
Se nel post dopoguerra e negli anni del benessere economico non si riscontravano un numero così elevato di laureati e una così alta percentuale di disoccupati e inoccupati, soprattutto tra i giovani, il predetto sistema di accesso ai concorsi pubblici poteva, anche se discriminatorio, risultare valido.
Lo scopo del Movimento 5 Stelle è quello di permettere ad un numero maggiore di giovani di partecipare ai concorsi pubblici, soprattutto in un momento storico in l’occupazione giovanile è ai minimi storici. Il tutto senza però ledere il principio di meritocrazia o permettere l’accesso di gente impreparati ai posti di lavoro pubblici.
Dunque se la legge passasse aumenterebbe il numero di persone che possono accedere al concorso, ma non i posti effettivi. Dunque non si compende come ossa andare a contrastare la disoccupazione giovanile. In sintesi: al Governo piace vendere false speranze.
Inoltre questa normativa potrebbe ulteriormente peggiorare la situazione italiana:
- causando una diminuzione del numero di laureati per anno (già esiguo, l’Italia è tra i Paesi europei con meno laureati in percentuale);
- favorendo ulteriormente la fuga di cervelli.
La lotta storica della Lega
La Lega non è certo estranea a questo tipo di proposte legislative, se ne parlava già quando il leader del partito era ancora Umberto Bossi. Nel Gennaio 2009 infatti la Lega Nord presentava un ordine del giorno alla Camera dei Deputati in cui si chiedeva l’abolizione del valore legale della laurea, per consentire di “introdurre un principio di equità nell’ambito della distribuzione di posti di lavoro nel settore pubblico, che finalmente godrà di personale scelto non più in base ad un singolo voto, bensì sulla base di specifiche e provate esperienze”. La Lega, nella figura di Paolo Grimoldi, presentò nel gennaio del 2013 (quando il bersaglio preferito da Salvini&co. erano ancora i meridionali e non i migranti) un documento ancora oggi visibile in una pagina del sito www.leganord.com, nel quale si legge:
Oggi una laurea presa in una qualsiasi Università italiana ha lo stesso identico valore, ma sappiamo bene che diversi Atenei, soprattutto meridionali, offrono un servizio nettamente inferiore alla media. Questo squilibrio provoca la mancanza di concorrenza tra Atenei, ma soprattutto si ripercuote sul meccanismo dei concorsi pubblici che penalizza chi proviene dalle Università del Nord. La Lega Nord propone quindi di abolire il valore legale del titolo di studio, primo ma fondamentale passo per poter finalmente valutare la preparazione di un candidato basandosi unicamente sulla sua effettiva competenza.
Naturalmente il tutto era corredato dallo slogan “Prima il Nord!”. E non siamo in una puntata di Game of Thrones.
Marco Giglia