L’abitare sostenibile: quando architettura e design sono cruelty free

L’abitare sostenibile in sinergia con un’alimentazione etica

Alcune persone pensano che l’adesione ad uno stile di vita etico e sostenibile comporti solo una rivoluzione delle proprie abitudini alimentari. Riducono, quindi, il consumo di carne o derivati animali, e preferiscono prodotti locali.
In realtà, per prolungare la vita in salute del nostro pianeta e di tutte le specie viventi che lo popolano, è necessaria una metamorfosi a 360 gradi del nostro stile di vita.
E’ necessario passare all’abitare sostenibile, il modo con cui occupiamo il nostro spazio nel mondo, il materiale degli utensili della nostra vita quotidiana e anche di quegli oggetti di cui ci circondiamo anche solo per rendere accogliente la nostra dimora, le nostre città e come ci spostiamo al loro interno.

Molte cose non sono determinate da nostre scelte, ma possiamo agire dove possiamo, per contribuire ad una transizione ad un modo di vivere ecocompatibile.

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Una parete di bambù in un ristorante di cucina pechinese a Pacific Place, Hong Kong.
Il bambù è usato per creare un’atmosfera semi-permeabile e fresca e per ricordare la Cina. Foto di Cheung Yin.

Nascita dell’abitare sostenibile: l’ Architettura Organica Vivente

L’abitare sostenibile non è un’idea nuova: Rudolf Stainer, che conosciamo come teorico di didattica e di tante altre discipline, e fondatore dell’antroposofia, è anche il promotore dell’agricoltura biodinamica ed della cosiddetta Architettura Organica Vivente. Egli parla dell’architettura come uno specchio dell’essere umano, e quindi rappresentazione dell’armonia del corpo, della mente e dell’anima.
L’ Architettura Organica (ecologica) Vivente suggerisce quindi un ritorno alle proprie origini, tramite forme architettoniche in armonia con la natura, per vivere senza stress in nostri spazi quotidiani, evitando forme spigolose e innaturali, case “vive” che respirano con i propri abitanti.




Interpreti contemporanei dell’architettura e del design ecocompatibile

Oggi, tanti professionisti abbracciano questa filosofia, come l’interior designer e influencer inglese Suszi Saunders, che, nel 2019, ha mostrato al Daily Mail la sua casa londinese 100% vegana.

«Adoro essere circondata da cose belle e fatte nel rispetto degli animali. Il mio prossimo obiettivo – ha dichiarato in quest’intervistaè quello di assicurarmi che i miei acquisti non siano solo vegani ma anche equi e solidali».

Non mancano le eccellenze anche in Italia, come il collega Michele Ricci, fondatore di Caseinpaglia.it e primo ed unico architetto accreditato VeganOk.

Certificazione del materiali cruelty free

Cosa si intende per un materiale “cruelty free”? Significa che non è testato sugli animali e non ne usa nessuna parte. A definirlo è la Vegan Society, la più grande associazione vegana, fondata in Inghilterra nel 1944.
Anche la fondazione inglese PETA (People for the Ethical Treatment of Animals), impegnata nella promozione di designer, marchi e prodotti che rispettano gli animali, nel promuovere l’utilizzo delle fibre al posto dei prodotti di origine animale, dichiara:

«oltre ad essere più gentili con gli animali, i tessuti vegani – naturali o sintetici – hanno un’impronta ambientale minore rispetto alla devastazione causata dall’agricoltura industriale e dalle sostanze chimiche necessarie per impedire la decomposizione dei materiali di origine animale».

Scegliere materiali a km zero

Così come per il processo di produzione e trasporto dei cibi, anche per la produzione e il trasporto dei materiali per l’edilizia e per il design è spesso non ecologicamente responsabile. Così come i cittadini green si impegnano a consumare prodotti alimentari a chilometro zero, scelta etica che minimizza i costi di trasporto e promuove la piccola imprenditoria locale, allo stesso modo anche i materiali dovrebbero essere “a km zero”, ed essere scelti in base alle minime emissioni di anidride carbonica in fase di produzione e smaltimento. Dovrebbero essere scelti in base alla potenziale rinnovabilità, per impedire che il loro utilizzo impoverisca il nostro pianeta.

Prodotti e tecnologie iconiche dell’ecocompatibilità

Il design ci aiuta con prodotti davvero rivoluzionari, come i cuscini Nomad Taurus di Weaver Green, apparentemente di lana, ma fatti interamente di bottiglie di plastica riciclate, lavabili, resistenti alle muffe, immuni a tarme ed acari e quindi indicati per le persone che soffrono di allergie.
Non va dimenticata l’architettura biofilica, che mette al centro dell’abitare sostenibile il benessere della persona. Un esempio interessante di design biofilico è il lichene stabilizzato, che, con le sue proprietà fonoassorbenti, aumenta il comfort della vita in ufficio.  Degno d’attenzione è anche il progetto di Kengo Kuma,  del primo ufficio biofilico, che sorgerà a Milano.

Sfide progettuali: ripensare la cucina in relazione alla nutrizione sostenibile

L’architettura e il design etico, però, non riguardano solo la scelta dei materiali. Passando ad un’alimentazione sempre più responsabile e rispettosa per il pianeta e per le forme di vita che lo popolano, cambiano anche le esigenze dell’abitare, cambiano i nostri spazi, e la disposizione e l’arredamento, ad esempio, delle nostre cucine.
Se ci orientiamo, ad esempio, verso un’alimentazione che predilige il cibo fresco, necessariamente deve aumentare lo spazio pensato per la sua conservazione, e va ridotto, ad esempio, quello per il surgelamento.
Tante persone che si stanno sensibilizzando al problema del riscaldamento globale e del cambio climatico, e stanno, nel loro piccolo, provando a cambiare abitudini alimentari. L’architettura e il design non possono ignorare il fenomeno.
Hanno sempre più successo iniziative come quella del “lunedì senza carne”, che, se coinvolgessero un numero significativo di persone, ridurrebbero il consumo (e l’inquinamento che ne deriva) di un settimo, e poi ci sono le tante persone, che, per motivi vari, aderiscono a regimi alimentari vegetariani, vegani, crudisti.
L’aumento del consumo di cibi crudi, cambia l’utilizzo dei nostri spazi, e quindi il nostro angolo cottura, rendendo obsoleti o di minor importanza alcuni elettrodomestici, e aumentando la necessità di spazio per la preparazione di cibi che non richiedono cottura ma altre forme di preparazione.
Un cambio alimentare risulta difficile se gli spazi sono pensati per il nostro vecchio stile di vita e se li percepiamo come ostili al nostro cambiamento. E’ per questo che architettura e design possono contribuire molto a metterci a nostro agio nel nostro nuovo regime alimentare, ed aiutare tante persone ad approdare ad uno stile di vita più ecologico.

Cosa possiamo fare per partecipare all’abitare sostenibile

E’ importante, quindi, capire tramite quali scelte possiamo contribuire alla sostenibilità.
Evitare gli arredi che prevedono rivestimenti in pelle è solo la prima cosa che viene in mente. Vengono invece spesso dimenticati tutti gli accessori imbottiti tramite piume, o che utilizzano altri materiali di origine animale (come la seta o la lana).
Per i tessuti, ci sono materiali di origine vegetale che vanno oltre al diffusissimo cotone: bambù, lino, canapa, cocco vengono attenzionati sempre di più da stilisti e designer e possono rendere la vostra casa molto confortevole.

Può sembrare ecologica una casa che utilizza come suo materiale principale il legno (ottimo anche per i giocattoli dei nostri bambini e coinquilini animali non umani), ma è importante indagarne l’origine, per verificare che arrivino da foreste con un programma di rinfoltimento e rinnovabilità, e che abbiano quindi delle certificazioni (FSC e PEFC), come ricorda GlamCasaMegazine.
Anche il materasso può contribuire ad una scelta etica, tramite la preferenza per un materasso in lattice (non tutti sanno che deriva dalla linfa dell’albero della gomma) o in fibra di cocco. Per le candele, la soia è un ottimo sostituto, naturale ed ecocompatibile, della cera d’api, e per le pareti di casa, le tinte ad argilla o ad oli vegetali sono una valida alternativa ai materiali chimici.

Abitare sostenibile: oltre ad essere necessario, dà identità

Come ha dichiarato l’ONU nel 2018, abbiamo solo 12 anni per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici e salvarci dal riscaldamento globale.
Tuttavia, passare ad all’abitare “rinnovabile” non va vissuto come un dovere, o qualcosa che comporta sacrifici.
Un’abitazione sostenibile non è solo un modo di prendersi cura del pianeta: è anche un modo di sottrarsi dall’architettura e all’arredamento  “in serie”, che costruisce abitazioni standardizzate, tutte uguali, cancellando l’individualità di chi le vive.
I Luoghi che abitiamo, che cerchiamo di fare nostri tramite oggetti e l’organizzazione dello spazio, non sono altro che l’estensione della nostra persona, e rendendo le nostre abitazioni più simili a noi, ci prendiamo cura del pianeta, ma anche di noi stessi.

 

Arch. Nath “Irriverender” Bonnì

Immagine di copertina fornita da freepik
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