200 migranti di origine subsahariana sono stati catturati dalle autorità tunisine e abbandonati nel deserto tra Libia e Tunisia senza viveri. Tra loro c’è chi è stato torturato da banditi locali, chi ha subito violenze sessuali e chi ha partorito sotto il sole cocente.
“Non sappiamo più che cosa fare. Siamo tanto stanchi, ci hanno aggredito non abbiamo più nulla con noi. Niente acqua niente da mangiare. Vi prego aiutateci ad uscire da qui. Siamo stanchi non abbiamo più il telefono, ne abbiamo solo uno nelle nostre mani. Non sappiamo.. non c’è niente da fare. Non possiamo tornare in Tunisia né in Libia. Siamo tanto stanchi. Aiutateci.”
A parlare è una donna, la voce trafelata, rotta dal pianto.
Questo è uno dei messaggi inviati ad un’attivista francese che opera in Nord Africa, Marie Dupont, da parte di un gruppo di migranti di origine subsahariana intrappolati da 6 giorni nel deserto tra la Tunisia e la Libia.
Seguo questa vicenda da alcuni giorni, logorata dal senso di impotenza, cercando assieme a Marie soluzioni per soccorrere queste persone.
Secondo quanto riportato in un comunicato pubblicato in data 2 ottobre e sottoscritto dall’Asgi e da alcune organizzazioni impegnate in Tunisia, che sono in diretto contatto con queste persone, lunedì 27 settembre le autorità tunisine avrebbero catturato a largo delle coste di Sfax 4 imbarcazioni con a bordo oltre 100 persone di origine subsahariana, e 3 imbarcazioni con a bordo cittadini tunisini.
Mentre questi ultimi sarebbero stati rilasciati immediatamente, i migranti sarebbero stati costretti a salire a bordo di 3 autobus e condotti nella zona desertica alla frontiera con la Libia. Tra loro si contano diversi bambini e donne incinte.
Per costringerli ad attraversare il confine le autorità tunisine avrebbero esploso dei colpi in aria. Il gruppo si è così disperso.
La parte più numerosa è fuggita verso est venendo ben presto catturata e rinchiusa in case private da gruppi di banditi locali nei pressi di Zouara. I rapitori, secondo quanto riferito da alcuni migranti che sono riusciti anche a diffondere un video girato all’interno di un edificio, stanno chiedendo un riscatto di circa 500 dollari a testa per il loro rilascio.
Sempre secondo le testimonianze, diverse donne sarebbero state vittime di violenza sessuale.
Alcuni migranti al momento della deportazione sono riusciti invece a nascondersi tra la vegetazione al confine, nei pressi di Ras Jedir.
Una donna incinta, accompagnata da un uomo, è riuscita a raggiungere l’ospedale di Ben Gardane, lì i medici hanno dichiarato che la donna non era sul punto di partorite pertanto le autorità li hanno deportati nuovamente nel deserto, in piena notte. L’indomani la donna, che versava in condizioni critiche, ha arrancato per diversi chilometri per raggiungere il presidio delle autorità di frontiera, e dopo poco ha dato alla luce il suo bambino con il solo aiuto del suo compagno, sotto un sole cocente, come dimostra un video che ritrae i momenti successivi al parto.
Un ristretto gruppo, tra cui due donne incinte, una delle quali in avanzato stato di gravidanza e un bambino molto piccolo, dopo essere sopravvissuti alcuni giorni senza cibo, costretti a bere l’acqua di mare, sono stati rapiti e venduti ad una banda che li ha sottoposti a tortura per estorcere loro dei soldi.
Quando i criminali si sono resi conto che queste persone non possedevano nulla li hanno abbandonati nel deserto.
Tornati alla frontiera si ritrovano ora stremati, senza mangiare da giorni, in condizioni critiche, costretti a nascondersi sugli alberi per sfuggire ai banditi libici.
Dispongono di un solo telefono, ormai quasi scarico, che utilizzano per inviare note vocali a Marie, in cui l’aggiornano sulla situazione supplicando di essere soccorsi.
Nell’ultimo messaggio, inviato sabato pomeriggio, un uomo informava che una delle donne incinte era svenuta, e non avrebbe resistito ancora a lungo.
Questa situazione non sembra essere un caso isolato al confine tra la Tunisia e la Libia.
Alcune testimonianze fanno riferimento ad un’altra espulsione sommaria ad opera delle autorità tunisine verso la Libia verificatasi a fine agosto, che avrebbe coinvolto uomini, donne e bambini, ad oggi ancora in gran parte dispersi in territorio libico.
Le azioni poste in essere dalla Tunisia violano la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, da loro ratificata nel 1957, che all’art.33 dispone il divieto di respingimento secondo cui “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate”.
C’è da osservare che la Libia, logorata da un conflitto civile decennale, è sprovvista di una legislazione sull’asilo. Inoltre le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti dei cittadini stranieri sono ormai da anni oggetto di denuncia da parte dei media e delle Organizzazioni Internazionali e non lasciano dubbi sull’insicurezza di questo paese.
L’Italia è complice di quanto sta accadendo alla frontiera tra Tunisia e Libia.
L’operato delle autorità tunisine ci riguarda molto da vicino in quanto negli ultimi anni l’Italia e l’Unione Europea hanno rafforzato la cooperazione con Tunisi per ottenere il contenimento dei flussi di migranti verso le coste europee. Sempre più fondi e risorse sono destinati alla Guardia Nazionale marittima per intercettare in mare e respingere le persone in fuga, senza effettive garanzie per il rispetto dei diritti umani.
Non basta guardare altrove per scrollarsi di dosso la responsabilità di questi crimini.
Finanziare ci rende complici.