Di Francesca de Carolis
Era metà febbraio. Precisamente fra il 13 e il 15 febbraio del 1945 che su Dresda si scatenò l’inferno. Circa 4000 tonnellate di bombe, fra esplosive e incendiarie… Un bombardamento “strategico”, di quelli studiati da Regno Unito e Stati Uniti, per fiaccare il morale della popolazione e indebolire l’industria bellica. Altri bombardamenti c’erano stati, Lubecca, Berlino, Amburgo…
La strage dei civili fu enorme. E mentre sui giornali dell’oggi rimbalzano notizie di tattiche e minacce, e mosse e contromosse come passi di una folle danza di guerra, tanto vicina ai confini della nostra Europa, ritorna indimenticabile un’immagine…
Durante l’esodo dei profughi iniziato la notte stessa dell’attacco ad Amburgo, un testimone parla di un gruppo di sfollati che cercano di prendere un treno in una stazione della Baviera.
“Durante questo tentativo una valigia di cartone cade sul marciapiede, si rompe, ne esce fuori il contenuto. Giocattoli, un necessaire per il cucito, biancheria bruciacchiata. Per finire, il cadavere di un bambino carbonizzato, ridotto a una mummia, che una donna ormai al limite della follia si trascina appresso come vestigio di un passato solo pochi giorni prima ancora intatto”.
Immagine fortissima, incancellabile, trovata in un libro di quelli che ritengo essenziali e da leggere e rileggere perché, lontana da noi (fino a ieri) la prospettiva di una guerra che ci coinvolga direttamente, forse ormai assuefatti a immagini di guerre vicine e lontane che, comunque non “toccandoci”, si susseguono e susseguendosi sembrano dileguarsi… non fermiamo se non distrattamente il nostro pensiero su cosa sia esattamente una guerra, cosa diviene, quella guerra, nella carne e nella mente delle persone.
Suggerisco dunque di andare a rileggere i testi delle lezioni tenute nel 1997 a Zurigo da W.G. Sebald, sulle bombe che piovvero sulle città tedesche nella seconda guerra mondiale. Sono parte di un volume: “Storia naturale della distruzione”, edito da Adelphi.
Perché, a esempio, chi di noi sa esattamente cosa significhi un bombardamento? Da buona ignorante, fino a quando non ho letto queste pagine di Sebald, neanche vi avevo mai realmente pensato. Quasi morire sotto un bombardamento fosse più o meno morire come colpiti da una tegola in testa… Poi, leggendo di Dresda, ho saputo esattamente quello che accadde ai tedeschi soffocati nei rifugi, a che temperatura fonde un corpo, alle menti ferite di chi sopravvive a un bombardamento e tante altre cose inimmaginabili. E hanno segnato per me, quelle lezioni, un punto di non ritorno sull’idea che ho della guerra, su quello che davvero produce sui corpi, negli animi delle persone.
E su quello che produce nelle pietre delle città, che espressioni degli uomini pure sono…
Andando a Berlino, quando l’inizio di questo millennio era appena “scoccato”, sono andata a visitare la Gedächtniskirche, centro simbolico della città che è anche un monumento alla pace, con quello che rimane dell’antica chiesa distrutta durante l’ultima guerra, e lì, alzando lo sguardo sul cielo che poggia sulla ferita della torre, ecco venire incontro come topografie di guerra…
Architetture del conflitto. Come garitte. Come cicatrici. Come deserti. Pensando a tutte le tracce delle offese delle guerre fatte e di quelle che ancora stiamo segnando. Tracce che per sempre urlano dalle stanze cave delle case distrutte, dai tetti senza tetto delle chiese, dalle strade senza più strade delle città… E le mura morte… e le cose che non ci sono più…
Penso ancora sia lì, nella Gedächtniskirche, in quel che resta delle sue vecchie mura e nelle sue ferite, il senso feroce di tutte le distruzioni di cui nella “Storia naturale della distruzione” si parla.
E anche se il cielo quel giorno era azzurro, veniva da tapparsi le orecchie. Perché davvero tutto era ancora lì. A contorcersi nel fuoco e nel fumo… Perché anche le mura sono fatte del sangue e della carne e dell’anima di chi le ha costruite…
Nell’ultimo numero di Internazionale Goffredo Fofi, nella sua rubrica di libri, ricorda che esistono libri inutili e libri necessari (per la cronaca, suggerisce fra gli altri “Rivoluzione” di Enzo Traverso, che sono andata subito a comprare). E’ verissimo. E nella mia, permettetemi, lista, metto queste lezioni di Sebald, per capire di cosa parliamo quando si allude a conflitti, per capire davvero cosa è “l’efferato e inarrestabile meccanismo” che è dentro la parola “guerra”.