Prima ne parlavano tutti e poi è arrivata la pandemia: così la Brexit è finita per qualche tempo nel dimenticatoio, sezione “Cose che ci interessavano prima ma ora no”, tra il campionato e le previsioni del tempo. Ma quindi a che punto è la Brexit?
L’iter di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea era stato avviato ufficialmente il 1° febbraio 2020, dopo quattro anni dal referendum che aveva decretato il Leave e che era costato la testa di due premier, James Cameron e Theresa May. Il burrascoso irrompere al numero 10 di Downing Street di Boris Johnson sembrava aver dato nuovo impulso alle trattative, in una direzione ben definita. In molti avevano visto nell’eclettico primo ministro un soggetto con delle idee chiare e, soprattutto, con quel pizzico di spregiudicata follia che avrebbe permesso, dopo mesi e anno di stallo nel pantano, di dire addio a Bruxelles e a tutta l’allegra brigata comunitaria.
Ma quindi a che punto siamo con la Brexit?
In realtà, nemmeno Boris Johnson sembra aver fatto molto di più dei suoi predecessori, a causa (o con il pretesto) della pandemia che gli è capitata tra capo e collo, anche a livello personalmente.
Le questioni sul piatto, infatti, sono ancora molte e proprio questo sarebbe dovuto essere un periodo cruciale per mettere a punto gli accordi con l’Unione Europea, su problemi come la circolazione di merci e persone da e verso il Continente, oltre alla spinosa questione irlandese.
It’s the final countdown
L’ultimo aggiornamento però risale a una decina di giorni fa. Il 15 giugno, infatti, si è svolto un incontro di alto livello, a cui hanno partecipato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, e il primo ministro britannico Boris Johnson. La novità è semplicemente che non ci sono novità: è stato un incontro in cui non ci sono stati significativi passi in avanti. L’orologio della Brexit, però, continua a ticchettare inesorabilmente verso il 31 dicembre 2020, data in cui la fase transitoria da separati in casa dovrebbe concludersi, dando avvio alla tanto sospirata indipendenza del Regno Unito dall’Unione Europea. Insomma: siamo a metà anno e praticamente non è ancora stata affrontata in modo definitivo nessuna delle questioni che toccheranno da vicino la vita dei cittadini, dei lavoratori e delle aziende Oltremanica.
Do you believe in life after Brexit?
Quel che emerge, come riporta il Guardian, è l’incredulità di Bruxelles di fronte all’ostinato rifiuto britannico di affrontare i temi della cooperazione in tema di sicurezza e di difesa. Almeno questo sembrava all’inizio un argomento su cui si sarebbe trovato un accordo in tempi brevi. E invece.
Boris Johnson, comunque, ha dichiarato che vede come fattibile un accordo entro luglio. Definirla un’affermazione a sorpresa è poco: qualche giorno dopo Ursula von der Leyen ha infatti lasciato intendere al Parlamento Europeo che l’ottimismo di Johnson è un tantino infondato. Siamo a metà anno e siamo invece molto lontani dalla metà nello svolgimento dei compiti, in pratica.
Il cielo d’Irlanda
Magari BoJo darà tutto sul finale, ma i tempi rimangono comunque stretti: sono passati 5 mesi dall’inizio della fase di transizione che durerà fino al 31 dicembre 2020. La questione più pressante rimane sicuramente quella dei dazi: se non si trovasse un accordo commerciale tra Ue e Regno Unito, con l’ipotesi del famigerato NO DEAL, i paesi dell’Unione dovrebbero imporre dei dazi sui prodotti britannici. Questi, quindi, diventerebbero immediatamente più costosi. Il governo britannico, di conseguenza, dovrebbe fare lo stesso sui prodotti che arrivano dai Paesi comunitari. Tra questi, particolarmente delicata risulta la posizione dell’Irlanda, che ne uscirebbe particolarmente danneggiata.
Luglio col bene che ti voglio
In teoria, ci sarebbe tempo fino al 1° luglio per chiedere una proroga del periodo di transizione, ma se Boris Johnson dovesse andare a Bruxelles (e pure a Canossa, a questo punto) e cercare di percorrere questa strada, si complicherebbe di certo la vita. Con gli elettori, visto che l’hanno piazzato a Downing Street proprio perché aveva promesso di portare a termine Brexit nei tempi previsti, e con l’Ue stessa: una nuova fase di negoziati, per quel che ne sappiamo, potrebbe durare mesi. O forse anni, sulla base del tempo medio necessario per stendere un accordo commerciale tra istituzioni.
Wake me up when September ends
Alcuni commentatori ritengono che le date più verosimili per raggiungere un accordo siano collocate tra il mese di settembre e ottobre. Lo stesso orizzonte temporale emerge da un documento del governo tedesco pubblicato da Reuters, che elenca anche una lista di priorità per le settimane a venire. Perché proprio la Germania? Semplice: il primo luglio segna anche l’inizio del turno di presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione Europea. Non a caso, l’organo che, prima o poi, dovrà votare sull’eventuale accordo Brexit.
I want it all
Mettere pressione all’UE potrebbe essere la strategia di Johnson: concludere un accordo last minute per ottenere il maggior numero di cose possibili in poco tempo. Ma l’Unione Europea non è nata ieri. Sarà certamente importante che i 27 paesi rimanenti siano uniti e portino avanti un progresso parallelo, sottolineando che non ci sarà per forza un accordo. La presidenza tedesca, invece, secondo i negoziatori britannici, sarà più propensa a concedere un compromesso. Una vera benedizione, insomma.
Sorry seems to be the hardest word
Luglio sarà un mese cruciale anche per l’avvio della campagna di comunicazione del governo britannico tra i suoi cittadini, relativamente alle conseguenze che avrà Brexit sulla vita quotidiana. Secondo i sondaggi, ora la maggioranza dei cittadini sarebbe contraria all’uscita dall’Unione Europea. Sarà cruciale cercare di riportare nei britannici fiducia nell’operato del governo, ora in bilico a causa della gestione traballante dell’emergenza Covid. Come riuscirà Boris Johnson a sbrogliare la matassa, però, è ancora incerto: il premier, infatti, nella scorsa tornata elettorale si era conquistato la maggioranza, sottraendo voti all’opposizione laburista. Aveva infatti promesso di supportare i meno abbienti. Che ora, ironia della sorte, saranno la fascia più colpita dalla recessione che seguirà alla pandemia.
Elisa Ghidini