Se il popolo italiano si fosse dedicato all’esegesi di Costituzione e Vangelo, con la stessa passione con la quale si è dedicato all’esegesi delle parole di Gigi Buffon, dopo Real Madrid-Juventus, credo proprio che avremmo molti ignoranti in meno.
“Fiumi di parole”, come si cantava a Sanremo tanti anni fa.
Io pesco nel mucchio, visti gli spazi ridotti, e mi limito ad un distinguo, per me fondamentale.
Il portiere ha parlato di scarsa “sensibilità” da parte dell’arbitro, che ha concesso un calcio di rigore al Real Madrid, negli ultimi secondi della partita, rendendo vana la strepitosa rimonta dei bianconeri: dallo 0-3 di Torino al 3-0 in Spagna, con la prospettiva dei tempi supplementari.
Se Buffon avesse usato non l’espressione “sensibilità”, tanto contestata, ma l’espressione “buon senso”, avrebbe goduto di maggiore comprensione.
Un arbitro, e cioè un giudice, infatti, non può intenerirsi, dinanzi ad un penalty, da decretare all’ultimo istante.
Ma il punto è proprio il seguente. Per chi è stato un rigore certo, era rigore, e basta, come è stato. Ma per chi si trattava di un episodio molto dubbio, il “buon senso” suggeriva di non sanzionare nulla, e di fischiare la fine dei 90 minuti.
In questa sede, mi spiace prendere atto di come il termine “sensibilità”, una risorsa fondamentale dell’uomo, sia stato disprezzato, a livello lessicale, diventando sinonimo di “buonismo”, perché, in sostanza, il direttore di gara avrebbe dovuto portare rispetto per gli eventuali sconfitti.
Hanno bistrattato il termine “sensibilità” gli stessi che, qualche giorno prima, si erano commossi, senza differenze di maglia, per la tragica fine del capitano della Fiorentina Davide Astori, esempio proprio di “sensibilità”.
Si fa molto in fretta a dimenticare che, oltre alla legge, è sempre esistito il “buon senso”, senza il quale la razza umana, vittima delle sue ferree regole, si sarebbe estinta da un pezzo. Il problema è che, se lo confondi con la “sudditanza psicologica”, passi per fesso.