Nel mese di gennaio Papa Francesco si era recato in viaggio in Cile, prima del suo arrivo c’erano stati attacchi a chiese e minacce nei suoi confronti. Una volta giunto lì, molte persone avevano protestato per denunciare i tanti casi di pedofilia che vedono colpevoli esponenti importanti della chiesa cilena, tra cui vescovi ed arcivescovi. Una fitta cappa di omertà nasconde questi orrendi delitti compiuti da membri del clero, alcuni accusati di essere “stupratori seriali” che per anni hanno abusato di minori, rovinando irreparabilmente le loro vite. In particolare, ha creato molto scalpore il caso del vescovo di Osorno, monsignor Juan Barros, che dovrà rispondere dell’accusa di aver insabbiato quanto commesso dal reverendo Fernando Karadima, uno di questi “abusatori seriali”.
Pedofilia in Cile: è il momento di fare chiarezza
Ieri, i giornali e i telegiornali cileni hanno annunciato che molti gruppi e associazioni composte da laici chiedono a gran voce che monsignor Osorno e altri vescovi si dimettano, fra i nomi citati figurano Horacio Valenzuela, titolare di Talca, e Tomislav Koljatic, vescovo di Linares. Nella missiva inviata l’8 aprile ai vescovi del Cile impegnati nell’assemblea plenaria a Punta De Tralca (e diffusa pubblicamente ieri sera), il pontefice ha dichiarato riguardo i casi di pedofilia commessi da religiosi:
“Per quanto mi riguarda, riconosco e voglio trasmetterlo fedelmente, che sono incorso in gravi errori di valutazione e percezione della situazione, in particolare per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate. D’ora in poi, mi scuso con tutti quelli che ho offeso e spero di poterlo fare personalmente, nelle prossime settimane, negli incontri che avrò con rappresentanti delle persone intervistate”.
Aggiungendo: “Credo di poter affermare che tutte le testimonianze raccolte parlano in un modo diretto senza aggiunte né edulcorazioni, di tante vite crocifisse e vi confesso che questo mi provoca dolore e vergogna“. Insomma, Papa Francesco ha esplicitamente fatto ‘mea culpa’.
Indagini interne parlano di almeno 64 casi
A provocare una tale reazione è stato un dossier lungo ben 2.300 pagine, in cui vengono descritti 64 casi di abusi compiuti da prelati in Cile (ma anche a New York), a raccogliere le testimonianze è stato monsignor Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, considerato il più esperto nell’investigazione sui casi di pedofilia, aiutato in questa delicata missione da monsignor Jordi Bertomeu Farnos, ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede. Monsignor Scicluna ha dichiarato al pontefice che è rimasto “sopraffatto dal dolore di così tante vittime di gravi abusi”. Difatti, Papa Francesco ha sottolineato come a questi minori sia “stata derubata l’innocenza”, ha ringraziato quanti hanno “mostrato loro le ferite dell’animo” e ha lodato l’operato dei giornali locali che hanno “trattato con grande professionalità un caso così delicato”.
Papa Francesco però non ha chiesto le dimissioni dei vescovi cileni, ma li ha convocati in Vaticano, vuole avere un confronto diretto con quanti sono accusati di abusi sessuali e abusi di potere, per capire come procedere nei loro confronti. Per fare questo nel migliore dei modi, ha perciò deciso di invitare anche quanti sono state vittime di queste atrocità, in modo da poter chiedere personalmente scusa a ognuno di loro.
L’incontro si terrà durante la terza settimana di maggio, si spera che possa davvero segnare una svolta decisiva nella lotta alla pedofilia nella Chiesa, troppo a lungo rimasta argomento tabù e insabbiata dal clero stesso.
Carmen Morello