“Com’eri vestita?” è la nuova mostra-installazione realizzata sulla scia dell’originaria americana che espone in bella vista gli abiti indossati dalle sopravvissute a violenze sessuali. Fra vestiti estivi, magliette a maniche corte, sciarpe fucsia e un pigiama si accendono i riflettori su questa comune domanda che sistematicamente viene posta alle vittime attribuendone loro parte della responsabilità.
La mostra inaugurata in questi giorni alla Casa dei Diritti di Milano, in via De Amici, e organizzata dal Centro antiviolenza “Cerchi d’Acqua” sarà visitabile fino al 21 marzo ad ingresso completamente gratuito. L’esposizione prende ispirazione dalla poesia “What I was Wearing” di Mary Simmerling e da un’idea sviluppata nel 2013 da Mary Wyandt- Hiebert, docente dell’Università dell’Arkansas, e da Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione delle aggressioni sessuali dell’Università del Kansans.
Al giorno d’oggi, secondo l’Istat, si compiono circa 11 stupri al giorno, per una media di quattromila ogni anno. Più di un milione di donne in Italia subisce una violenza sessuale nel corso della sua vita e spesso questa viene consumata tra le pareti di casa.
L’obiettivo principale di “Com’eri vestita?” non è solamente quello di mostrare la cruda realtà su questi tragici avvenimenti tramite testimonianze dirette, ma soprattutto è quello di sensibilizzare le persone facendole riflettere su alcuni stereotipi che tendono a colpevolizzare la vittima piuttosto che il carnefice.
Molto spesso alle vittime di violenza sessuale viene posta la fatidica domanda riguardante l’abbigliamento indossato durante quel fatidico momento. Un interrogativo che al suo interno contiene una sfumatura accusatoria e colpevolizzante. Implicitamente, infatti, sottolinea e sottintende la natura provocatoria degli indumenti ribaltando completamente l’attribuzione delle responsabilità non su chi è l’autore, ma su chi subisce questo terribile genere di violenza.
“La mia amica mi disse, forse lo hai provocato tu?”
Cerchi d’Acqua ha voluto dunque riadattare la mostra americana alla realtà milanese cercando di smantellare alcuni stereotipi. Primo fra tutti l’idea che l’abbigliamento possa essere una causa o una giustificazione di questi atti barbarici, ma soprattutto che la vittima possa averla provocata. La mostra è dedicata a Jessica Valentina Faoro, giovane ragazza di 19 anni uccisa a coltellate dall’uomo che voleva abusare di lei.
Silvia Barbieri