Facendo un rapido salto nel passato, l’Embraco rappresenta un successo decrescente: erano gli anni 70, e la fabbrica, con sede a Riva di Chieri (in provincia di Torino), era di proprietà del gruppo Fiat, che al tempo produceva anche frigoriferi. Così si assicurò la realizzazione dei compressori, la parte componentistica più importante. Nel 1985 ci fu il passaggio alla multinazionale americana Whirlpool, che fece toccare il massimo della capacità produttiva. Sennonché nel 2000 iniziò il declino; infatti la Whirpool cedette lo stabilimento alla sua controllata Embraco, e a causa di questa riorganizzazione aziendale, la produzione calò notevolmente e i lavoratori si dimezzarono.
Nel 2004 un altro duro colpo: Ebraco aprì uno stabilimento in Slovacchia, riducendo sensibilmente il lavoro a Riva di Chieri. Ma non finisce qui, tanto è vero che dieci anni dopo l’azienda ha di nuovo minacciato di spostarsi dall’Italia. Per impedire che ciò accadesse, la Regione Piemonte ha fatto di tutto, stanziando addirittura due milioni di euro affinché l’Embraco facesse nuovi investimenti sul territorio nostrano.
Tutto inutile. Nonostante gli sforzi economici fatti dall’Italia, gli unici 500 operai ormai rimasti, a gennaio hanno ricevuto una lettera in cui veniva annunciato il licenziamento collettivo e lo spostamento della produzione in Slovacchia.
Per cercare di risolvere la situazione, o quantomeno prendere tempo, il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, ha cercato una trattazione con l’Embraco, proponendo di non licenziare gli operai ma metterli in cassa integrazione, oppure di vendere l’azienda ad una società in grado di mantenere al proprio posto gli operai e lo stabilimento, ma nonostante alcune offerte ricevute, l’Embraco non ne vuole sapere, e l’unica proposta da lei fatta è stata di riassumere gli operai licenziati con contratti part time fino a novembre, offerta inaccettabile in quanto vorrebbe dire per tutti gli operai lì da decenni, ripartire da zero con retribuzioni e anzianità.
Sono tanti i soggetti che sono intervenuti nella vicenda, a partire dai sindacati del Piemonte, al presidente della Regione Sergio Chiamparino, ma l’arrivo a una soluzione sembra ancora lontano.
Che qualcosa nella nostra politica industriale non funzioni è evidente, tanto che ormai ci siamo aggiudicati per gli investitori stranieri una pessima nomea, causata in particolar modo dalla burocrazia, dai costi e dai tempi della giustizia. In questo caso però è evidente anche l’abuso ed il mal uso delle sovvenzioni date peraltro con fatica. Senza dubbio è fondamentale in primo luogo pensare ai lavoratori, e sotto quest’ottica la cassa integrazione potrebbe far respirare ancora per qualche mese più di 500 famiglie. Ma dopodiché? Forse sarebbe anche il caso di prevenire, stabilendo regole più ferree e creando degli incentivi che diano ragioni per rimanere, piuttosto che dover poi curare.
La sorte dell’Embraco stabilirà il futuro di 500 operai e le rispettive famiglie; non sono soltanto un numero indicativo, ma persone, che non possono e non devono essere lasciate sole.
Roberta Rosaci