Quest’anno non è stata la Befana a portare cenere e carbone nelle calze dei dipendenti pubblici ma CGIL–CISL-UIL-CONFSAL e Governo con l’ipotesi di Contratto collettivo per le Funzioni Centrali, sottoscritta il 23 dicembre, a ridosso delle festività natalizie.
La fretta di chiudere l’accordo per far arrivare nelle tasche dei lavoratori qualche soldo prima delle elezioni politiche e di quelle per il rinnovo delle RSU, secondo la regola mai abbandonata del voto di scambio, non ha certo aiutato la trattativa; così come non ha aiutato l’atteggiamento dell’Aran nel condurre il confronto e la continua fuga di documenti dati in pasto ai giornali ancor prima di presentarli e discuterli al tavolo, in modo tale da considerarne i contenuti ormai come acquisiti. Ma certo è che su tutta la trattativa ha pesato in maniera fortemente negativa il protocollo del 30 novembre 2016, siglato guarda caso dalle stesse organizzazioni sindacali firmatarie dell’ipotesi di contratto, che si sono accontentate di 85 euro medi lordi da marzo 2018, dopo oltre otto anni di blocco contrattuale, che per i livelli economici della prima e seconda area diventano ancora di meno. A poco serve l’elemento “perequativo”, perché è un palliativo per il solo 2018 che non va nemmeno nel conteggio del TFR.
Tre giorni di trattativa, dal 20 alla notte del 22 dicembre, per arrivare alla definizione di un pessimo contratto, che i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego non meritavano, dopo aver subito una lunga, violenta ed ingiustificata campagna di denigrazione collettiva.
Un pessimo contratto dal punto di vista economico, dal momento che non restituisce neanche il 40% dell’inflazione registrata nel periodo di blocco della contrattazione, tra il 2010 e il 2017.
Un pessimo contratto che ha evitato di affrontare uno dei nodi principali della discussione: il riconoscimento della professionalità acquisita e il superamento del mansionismo della prima e seconda area (Aree A e B), da attuare attraverso una profonda e necessaria revisione degli ordinamenti professionali. Chi ha firmato il contratto ha deciso di rinviare qualunque decisione a dopo le elezioni RSU, istituendo una non necessaria Commissione paritetica forse perché aveva in testa soluzioni impopolari.
Un pessimo contratto col quale si inasprisce ulteriormente l’azione disciplinare, colpevolizzando in modo indiscriminato le assenze a cavallo dei fine settimana o dei giorni festivi, si adottano restrizioni sulla fruizione dei permessi Legge 104 prevedendone la programmazione mensile, si limitano a 18 ore le assenze annue riconosciute per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche.
Un pessimo contratto che sui sistemi premiali mantiene intatta la filosofia introdotta da Brunetta, rinviando alla contrattazione integrativa la scelta d’individuare la quota dei più meritevoli tra quelli considerati più bravi della media, a cui destinare una quota maggiorata di incentivo. E’ la riedizione del sistema di valutazione previsto da Brunetta, solo che saranno i sindacati a decidere le quote di composizione delle tre fasce, riappropriandosi così della contrattazione!
Non sono invece più materia di contrattazione tre importanti argomenti come: l’articolazione dell’orario di lavoro; la formazione; la mobilità del personale. Si può parlare in questo caso di un recupero del ruolo sindacale come hanno fatto CGIL-CISL-UIL all’indomani della firma del protocollo del 30 novembre? Oltre all’informativa, il contratto prevede l’istituto del “confronto”, nato dalle ceneri della concertazione, cha non ha in ogni caso natura negoziale, come l’Osservatorio paritetico per l’innovazione, che sarà costituito in tutte le amministrazioni.
CGIL-CISL-UIL-CONFSAL si sono rifiutate di cancellare dal contratto l’odiosa norma ricattatoria che prevede che solo i firmatari del Contratto collettivo nazionale di lavoro possano poi partecipare alla contrattazione integrativa di amministrazione. Non conta essere rappresentativi, avere iscritti e voti RSU in numero sufficiente ad essere ammessi al tavolo della contrattazione all’Aran, perché lì scattano altre tagliole, inventate ad arte per ostacolare le organizzazioni sindacali che possono ancora contare su una vera partecipazione dei lavoratori.
Tranne alcune norme di civiltà come quelle sulle unioni civili e sulla protezione delle donne che subiscono violenza, nel complesso ci troviamo di fronte ad un contratto insufficiente sul piano economico e fortemente negativo su quello normativo. Eppure c’è chi, come la CGIL, lo presenta come un “buon contratto, acquisitivo (?!), innovativo, che garantisce un sistema di relazioni sindacali rinnovato e più forte”. E del resto come giustificare altrimenti una firma che ancora una volta ha il sapore amaro della marchetta elettorale?