“Ambulanza della morte“, così è stata soprannominata l’inchiesta che vede protagonista un’ambulanza tramite la quale i malati in fin di vita “avrebbero dovuto raggiungere casa”, invece i pazienti ricevevano un’iniezione letale di aria, mediante l’ago-cannula, che ne provocava la morte per embolia gassosa in poco tempo.
Gli ammalati venivano regolarmente dimessi dall’ospedale, perché per loro non c’era più nulla da fare e i parenti preferivano star loro accanto negli ultimi istanti. I medici ed il resto del personale ospedaliero di Biancavilla erano all’oscuro di quanto avveniva a bordo dell’ambulanza. Il responsabile di quest’orrendo crimine è Davide Garofalo, di 42 anni, arrestato il 21 dicembre con l’accusa di omicidio volontario. Ad aggravare la sua posizione sembra che l’uomo abbia favorito la mafia. Proponeva infatti ai familiari delle vittime di affidare la salma a determinate agenzie di pompe funebri, appartenenti a cosche mafiose locali. Ne ricavava in cambio 300 euro per la “vestizione del defunto“. In pratica, i pazienti venivano venduti per denaro.
Le indagini sono in corso
A denunciare questa terribile pratica è stato un collaboratore di giustizia, che in un’intervista a “Le Iene“, spiegava come avvenisse il tutto. Gli strani decessi sono iniziati nel 2012 e sono proseguiti fino al 2016. Nello stesso anno sono iniziate le indagini, proprio a seguito della segnalazione del suddetto pentito. Le morti accertate sono tre: un uomo ed una donna molto anziani ed un 55enne, deceduto nel 2015. Ma al vaglio degli inquirenti ci sono molti più casi, più di 50, di cui almeno una decina di particolare rilevanza.
Le indagini sono tuttora in corso e vengono svolte dalla procura di Catania, grazie al procuratore aggiunto Francesco Puleio, con il procuratore Carmelo Zuccaro e il sostituto Andrea Bonomo. I clan coinvolti sono quelli delle famiglie Mazzaglia-Toscano-Tomasello di Paternò e Biancavilla e i Santangelo di Adrano. Il barelliere arrestato e i suoi complici (altre tre persone sono indagate) avrebbero agito grazie a loro. Erano le cosche a decidere chi guidava l’ambulanza e chi assisteva i malati nel tragitto verso casa.
Nessuno ha il diritto di scegliere come e quando porre fine alla vita di un altro, a meno che non sia il malato stesso a chiederlo. A questo proposito, poco più di una settimana fa, è stato approvato il testamento biologico che regola l’interruzione delle terapie. Ma i casi qui citati non rientrano certo nella sfera dell’eutanasia. Il barelliere non “spegneva” i malati in fin di vita per pietà. Lui non cercava di porre fine alle loro sofferenze. Lo ha detto chiaramente il pentito: “La gente non moriva per mano di Dio, ma per guadagnare 300 euro invece di 30 o 50.”
Carmen Morello