Scrivo in strada come in “madonnari”, io scrivo tu impari, scriverebbe un certo Willie Peyote.
Affermazione di un certo peso e che si potrebbe definire “presuntuosa”.
Ma quanti di noi scrivono perché sentono di doverlo fare?
Chi lo fa scrive col cuore, e chi scrive col cuore è il maestro di se stesso. Perciò, lui scrive e noi impariamo.
La premessa era doverosa, perché sto scrivendo queste righe in strada come in “madonnari”… il resto lo conosci. Questa strada sta tra la Mt Morris Park W e la 123rd, Harlem, Isola di Manhattan, New York.
Davanti a me c’è un piccolo parco. Certo, non sono i 9,7 km di perimetro di Central Park, ma in cambio offre uno spaccato reale, ancora pulsante. Ad Harlem a pulsare sono i ricordi di personaggi come Josephine Baker o Bessie Smith. L’Apollo Theatre che contribuì a far conoscere al mondo artisti come James Brown, Ella Fitzgerald e The Jackson 5. Harlem la sera ti prende per mano e con le sue note jazz, ti conduce alla scoperta di locali leggendari.
Ma l’Harlem è anche molto altro. Enorme quartiere Afro-americano, racchiude storie come il colore della pelle dei suoi abitanti: NERE. Storie che molte volte sfociano nel dramma della mediocrità umana e del razzismo:
“Le tattiche super-aggressive della polizia risultano in una precisa e mirata campagna di intimidazione nei confronti dei cittadini neri della nostra città”.
No, ovviamente non sono parole mie, ma di Charles Blow, un opinionista nero del New York Times. Blow non è esattamente una persona abituata a tenere per sé le cose, definì Donald Trump un “bigotto” e disse che chiunque sostenesse Trump non è tanto diverso da lui.
Una ricerca condotta qualche anno fa dallo stesso New York Times sottolinea come su 580 mila fermi in un anno, il 55% è afro-americano. Sono numeri che fanno distorcere il naso se si considera che i neri rappresentano solo il 25% dei newyorkesi.
E allora è il nero a essere troppo cattivo o il bianco a essere troppo razzista (in casi di malattia latente “non sono razzista…ma…)?
La temperatura non è di certo alta, ragazzini si contendono un pallone da Basket e salgono i brividi quando si pensa che catastrofici eventi del passato non hanno insegnato niente. D’altronde non si può insegnare a essere umano. Se non lo sei, non lo sarai mai! L’epoca coloniale non è poi così lontana se valutiamo questa pulizia etnica come uno sfogo che non dovrebbe esistere in nessuna parte del Mondo.
New York o qualsiasi angolo degli Stati Uniti potrebbero riproporre nuovi casi Anthony “Tony” Robinson, giovane afro-americano diciannovenne che disarmato, è stato sparato e ucciso da un poliziotto.
E Walter L. Scott? 50 anni, secondo la versione del poliziotto, Walter rubò il taser allo stesso agente che temendo per la sua vita decise di sparare.
Fortunatamente, un video mostra l’agente Slager sparare per otto volte contro l’uomo in fuga e disarmato.
Oggi Slager è incriminato con l’accusa di omicidio di Stato.
Se ci parli potrai ascoltarli, non solo sentirli. Quello che ti dicono vale per tutti. Tra banchi di scuola, all’università, nei locali notturni, c’è sempre chi, almeno una volta nella sua vita, si è visto discriminare o attaccare per il colore della pelle.
Alcuni quando te lo dicono sorridono, perché non intendono lasciarsi sfuggire la possibilità di dimostrare quanto siano superiori a gente che continua a contrapporre il bianco al nero, ma altri si spengono! Lo fanno perché non è facile continuare ad avere speranza nel genere umano quando crollano valori come l’uguaglianza.
Da molto continua a essere così, ragazzini che sognano di diventare i futuri Michael Jordan sbattono la loro palla sul mondo ma solo pochi riescono a percepirne l’eco.
In U.S.A, Germania, Italia…ovunque, il razzismo non è tornato, semplicemente, non è mai andato via!