“Nessuno si tatua per diventare più brutto, né per masochismo. Chiunque si tatua, lo fa per dare a se stesso qualcosa di più: per essere più bello, per sentirsi e apparire più forte, più sexy, per dare sfogo a un dolore, un lutto, una gioia, un amore, per scongiurare una paura, un pericolo o per gioco… Ci si tatua per esprimere i sentimenti più seri e profondi e per quelli più superficiali e frivoli.”
Luisa Gnecchi Ruscone
I tatuaggi ormai sono sulla pelle della maggior parte delle persone che ci circondano ma non tutti sono frutto di un pensiero ponderato; molti infatti sono solo il risultato di una moda passeggera.
Il tatuaggio affonda le sue radici nell’ antico Egitto con l’intento di “indossare” un simbolo creato a regola d’arte da mani esperte, chiaro segno di appartenenza ad un popolo, una tribù, una gang, un rango sociale, una famiglia ecc.
Questa giovane arte trova una feconda culla a Los Angeles e inizia a subire evidenti cambiamenti e miglioramenti a partire dalla fine degli anni ’60. Inizialmente chi si tatuava la pelle non era visto di buon occhio in quanto quelli che li portavano erano ex-galeotti, detenuti, militari e marinai. In questo periodo i tatuaggi erano solo grigi e neri e i soggetti avevano un forte rimando alla marina militare, alla patria e ai fumetti; cose semplici e non particolarmente elaborate. Successivamente, con lo sviluppo di numerosi poli in tutta la città, iniziano a formarsi delle vere e proprie scuole con le proprie caratteristiche, stili e tecniche. Vengono utilizzati aghi da 5, da 4, da 3, da 2 fino ad arrivare a quello che permette di disegnare in assoluto linee più precise e segna una vera e propria rivoluzione nel concepire il tatuaggio, l’ago singolo.
Grazie a questo, la nitidezza delle immagini si fa sempre più evidente tanto che sembrano delle foto; attualmente i tatuaggi realistici sono tra i più richiesti.
Oltre a questo stile oggi ce ne sono altri 19 sparsi in tutto il mondo e molti si rifanno alla vecchia scuola ma il più diffuso è lo stile Chicano. Questo termine veniva usato agli inizi degli anni ’60 per indicare gli statunitensi di origine messicana; inizialmente dispregiativo, venne poi rivalutato e usato con orgoglio da tutti coloro che facevano parte di quella minoranza.
Con il passare degli anni, dal tatuaggio singolo si è andati verso la tendenza ad “incastonare” tanti singoli tatuaggi in un insieme dal senso unico ed armonico o a farne direttamente uno dalle dimensioni gigantesche, coprendo il corpo nella sua interezza e creando delle “tute” di disegni. Il grigio e il nero fanno spazio ai colori e il risultato è davvero qualcosa di spettacolare, tatuaggi che prima non si erano mai visti, arte che si indossa a tutti gli effetti.
In questa direzione si vedono a confronto due “scuole”: quella chicana e quella giapponese. Chi fa parte della prima si tatua solo soggetti che parlano della propria vita personale e che raccontino momenti della tradizione del popolo messicano, quelli della seconda invece prediligono soggetti che non hanno nulla di strettamente personale.
Questo stile si pone in netto contrasto con quello nato nelle carceri solo qualche anno prima per vari aspetti: l’uso del colore, delle sfumature, il gioco delle proporzioni, i chiari e gli scuri e l’uso della luce.
Non solo più simboli dunque ma espressione dell’umano sentire sulla propria pelle, un abito da indossare tutti i giorni per chi non ha paura del pensiero altrui e non bada alle apparenze.
Oggigiorno si organizzano 300 fiere l’anno sui tatuaggi. Le riviste, le convention ed infine la televisione hanno dato un contributo essenziale a quest’arte, facendola conoscere ed apprezzare anche dai più scettici.
Debora Moretti