Lo scontro tv tra il segretario del Pd Matteo Renzi e il candidato premier del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio doveva consumarsi ieri sera su La7, durante il programma Dimartedì condotto da Giovanni Floris. Qualche giorno fa Di Maio faceva sapere che, dopo aver organizzato egli stesso l’incontro, nei minimi particolari, non avrebbe più presenziato al talk-show. Ormai appare cosa vecchia analizzare le reazioni politiche a questa decisione perciò la nostra attenzione dovrà ricadere sulle stesse riflessioni che sono state fatte sull’intera vicenda.
Matteo Renzi
Si è dimostrato stanco ieri sera, lungo tutta l’intervista (di questo si è trattato) che conduceva Floris. Ha parlato di vigliaccheria, di presenze in aula durante le votazioni, di immunità parlamentare. Dopodiché ha ammesso le sconfitte e rivendicato le vittorie del suo partito, giustificando entrambe, in linea con l’atteggiamento che il Pd tiene da circa un anno. Atteggiamento che risulta ineluttabilmente sfinito e anche un po’ fastidioso. Non ha mancato neanche una volta il tentativo di colpire il suo avversario, poco importava che non si trovasse lì. Tuttavia, in ultima analisi, ha parlato di cose già sentite. Non soltanto: ha liquidato l’assenza del vicepresidente della Camera con un poco onesto “Ha paura”. Insomma, ha taciuto sul vero nocciolo della questione e cioè sulle motivazioni e sugli obiettivi prettamente politici che hanno guidato la scelta di Di Maio.
L’articolo sul blog del Fatto Quotidiano
Non si dovrebbe, se questo fosse un mondo nel quale ognuno pensa a ciò che dice o scrive, dare dignità a prodotti che indossano la maschera di fini analisi politiche e invece sono solo becera propaganda. È il caso di un articolo scritto da Ivo Mej, uscito ieri sul blog del Fatto Quotidiano dal dubbio contenuto analitico. L’articolo dipinge Di Maio come un eccezionale stratega politico, capace di negare l’esistenza dei suoi avversari beffeggiandoli e snobbandoli tramite i suoi giochetti psicologici. Secondo l’autore Di Maio, non presentandosi, ha assestato il colpo mortale al suo avversario politico con una “perfidia alla House of Cards”. Mette su pure un confronto con le religioni sumera, egiziana e romana, che è meglio non discutere affatto (oltre ad essere poco pertinente). Facile a questo punto è ricordarsi cosa accade quando la propaganda viene spacciata per analisi politica e, oltretutto, si tenta di legittimare tale propaganda con contenuti intellettuali.
La scelta di Di Maio
E dunque, dove sta la verità? Di Maio è un vile doppiogiochista o una mente da mettere al confronto coi migliori agenti segreti? Come spesso accade, la “verità” sta nel mezzo, come in questo caso. Di Maio ha scelto di non presentarsi a DiMartedì perché tutti i motivi dello scontro con Renzi sono decaduti, anche in vista del risultato elettorale in Sicilia. Perché porre l’arrembaggio su una nave che sta affondando, rischiando anche di perdere qualche uomo durante l’attacco? Ma il problema non è tanto questo, dato che ciò è stato già fatto presente da qualcuno. Il fatto è che questa è una mossa politica. Nient’altro. Assentarsi per non rischiare di perdere consensi è una delle mosse più politiche che esistano. Allora rimbombano le parole chiave che da sempre i 5 Stelle sbandierano: noi non siamo come gli altri, facciamo le cose di cuore, per come le crediamo, senza strategie ecc…
Parliamone
Vigliaccheria e strategia vanno in secondo piano adesso. Qui si parla di memoria (neanche a lunghissimo termine) e di coerenza. E di rispetto. Concetti perduti in politica e non solo. Si tratta anche di rispetto verso se stessi, per tutto quello che si dice agli elettori. La macchina del fango non basta più. Le elezioni in Sicilia lo hanno dimostrato: per superare la logica delle coalizioni ci vuole ben altro che l’incoerenza perenne di un movimento. A quelli che sono pronti a dire “Eh ma il movimento si forma anche politicamente” si può rispondere che è proprio questo atteggiamento “politico” ad aver portato la crisi del sistema rappresentativo e che ha inchiodato la maggioranza degli elettori siciliani alla rassegnazione, a negare il proprio diritto di voto.
Giorgio Russo