Nata il ventuno a primavera e morta il primo novembre, festa di Ognissanti. Alda Merini, abile tessitrice di parole, è stata una poetessa in grado di risorgere spesso e volentieri dalle proprie ceneri. Il dramma del manicomio ha amplificato il suo dolore e ha reso eco ogni angoscia. Le sue parole sono fiumi pronti all’esondazione, acqua limpida e calma ma anche pronta a divenire un’onda in grado di lasciare il lettore a bocca aperta e senza respiro. Le poesie di Alda – migliaia di versi – si arrampicano sullo stelo del sentimento e poi compongono le misure perfette di un fiore.
La copertina del volume – divisa in tre colori: nero, bianco e rosso – sembra volerci ricordare (casualmente?) il lavoro costante che questa donna si è ritrovata a fare: capirsi, amarsi, ritrovarsi. Il libro si apre con la raccolta La presenza di Orfeo, prima pubblicazione della poetessa. All’epoca – era il 1953 – la silloge vide la luce grazie alla casa editrice Schwarz e a Giacinto Spagnoletti, curatore della collana di poesia il “Campionario”. Nozze romane, Paura di Dio, Le satire della Ripa… pagine e pagine di poesie, per rivivere gli anni – e l’anima – di una donna che ha messo al mondo innumerevoli meraviglie. 700 pagine di inchiostro, di nuda poesia, per poi arrivare alla prosa di Alda Merini.
Delirio amoroso, Diario di una diversa, Il tormento delle figure, Lettere al dottor G… altre 300 pagine, dove è possibile vedere il riflesso della poetessa. Quel riflesso che è parte della memoria dei Navigli: luogo, casa, rifugio del suo poetare. In ogni foglio, una volta bianco, c’è la luminosa ombra di Alda Merini. Finalmente non più vittima di un mondo incapace di abbracciarla sinceramente.
Con il suo incessante lavoro, questa donna, è diventata ciò che le è stato negato: un abbraccio destinato a chiunque avrà il coraggio di bruciare – e risorgere – assieme alle sue parole.
Luca Foglia Leveque