Non è un segreto che le colonizzazioni siano spesso fonte di grandi sofferenze e di perdite di vite umane per le popolazioni sottomesse. Purtroppo, le vicende dell’occupazione portoghese e spagnola nel Sud America non hanno fatto eccezione, portando, tra gli altri, ingenti danni all’etnia Guaraní.
Sotto questo nome raccogliamo, in realtà, ben tre sottogruppi: i Guaraní- Kaiowa ed i Guaraní- Ñandeva, originari di Brasile e Paraguay; i Guaraní- Mbya, le cui radici si trovano, oltre che nei due Paesi già menzionati, anche in Argentina.
Tutte le popolazioni Guaraní sono accomunate da una lingua comune, la tupí, ma ognuno dei tre ceppi parla un proprio dialetto– rispettivamente, per l’appunto, il Kaiowa, lo Ñandeva e lo Mbya, anche se vi sono poche differenze tra i tre. Si tratta di popolazioni tradizionalmente stanziali, dedite principalmente all’agricoltura, improntate ad un sistema di collaborazione su base per lo più familiare. La famiglia, infatti, risulta elemento fondamentale nella loro logica sociale, implicando anche determinati obblighi relazionali. E’, tuttavia, possibile instaurare nuovi legami, all’interno di differenti strutture sociali. Rimangono sempre caratterizzante, però, il carattere della reciprocità e la coesione sociale, richiamati anche nelle cerimonie rituali.
La presenza dei Guaraní risulta molto elevata in Brasile, dove raggiungono all’incirca i cinquantamila individui, costituendo la prima popolazione indigena per numero.
I loro antenati colonizzarono gran parte dei territori che compongono Brasile, Bolivia, Uruguay, Paraguay ed Argentina già da tempi molto remoti. Costituivano un gruppo etnico e linguistico ben definito ed autonomo rispetto agli altri presenti in quelle aree, con una grande consistenza numerica ed una suddivisione in cinque etnie: i Carios, i Tapes, i Paraná, gli Itatim ed i Guaira.
La loro situazione, però, mutò radicalmente con l’arrivo dei conquistadores: essi, infatti, da un lato occuparono gran parte delle terre abitate dai Guaraní, dall’altro ne ridussero moltissimi in schiavitù.
In quest’epoca, un ruolo importante per la sopravvivenza di queste antichissime popolazioni fu rivestito dai Gesuiti, i quali, giunti in Sud America con lo scopo di evangelizzare gli indigeni, fondarono nelle zone abitate dai Guaraní ben 33 Reducciones (questo il nome dei nuclei cittadini di loro istituzione), nelle quali molti indigeni si rifugiarono per sottrarsi alla schiavitù.
Questo ne modificò fortemente le abitudini: mentre prima i Guaraní vivevano in capanne comuni e coltivavano esclusivamente manioca, ponendo in essere occasionali conflitti con le comunità limitrofe, nelle Reducciones tutto era gestito dai Gesuiti ed improntato ad una forte inclinazione religiosa; d’altro canto, in cambio di una limitata fornitura di mate al governo, essi erano totalmente liberi rispetto al potere temporale.
Alcune spedizioni di ricerca di indigeni da utilizzare come manodopera gratuita, tuttavia, arrestarono bruscamente questo periodo di calma, portando alla distruzione di varie Reducciones e mettendo in catene decine di migliaia di Guaraní.
Anni più tardi, la scoperta di miniere d’oro nelle aree colonizzate fece scemare l’interesse per la manodopera, mentre Spagna e Portogallo ridisegnavano i confini dei territori da loro occupati in Sud America.
Verso la fine dell’Ottocento, molti dei territori dei gruppi Guaraní Kaiowa e Ñandeva furono dati in concessione alla Compagnia Matte Laranjeira, la quale riprese a sfruttare gli indigeni. Tuttavia, la presenza di tale Compagnia fu in qualche modo un bene per i Guaraní: essa, infatti, era interessata unicamente al monopolio sulla coltivazione della yerba mate, e favorì pertanto l’allontanamento di progetti di colonizzazione dalle aree a ciò dedicate, così incentivando la riunificazione dei Guaraní e la conseguente riappropriazione della loro identità culturale.
Quando la Compagnia perdette il monopolio sulla yerba mate, tuttavia, nuovi coloni iniziarono a stabilirsi nelle terre dei Guaraní. Nonostante il problema della sottrazione di territori agli indigeni fosse fortemente sentito sin dai primi anni del secolo scorso- al punto che, negli anni Trenta, in Brasile venne creato lo SPI, il Serviço de Proteçao aos Indios-, essi finirono per essere confinati in piccole riserve, dove risiedono tuttora.
Dagli anni ’80, però, i Guaranì hanno intrapreso una lunga serie di battaglie di rivendicazione territoriale, tuttora non sopite.
La continua perdita di terre comporta, per i Guaraní più che per altre popolazioni, danni ingenti e finanche morte. Tutta la loro struttura sociale, la loro cultura, le loro tradizioni sono riconnessi al rapporto con la terra. Strappati dalle loro radici, i Guaraní perdono effettivamente tutto ciò che per loro, materialmente e moralmente, ha valore.
Per questa ragione, nell’etnia Guaraní si registra attualmente uno dei tassi di suicidi più elevato al mondo, mentre molti dei loro capi vengono uccisi perché tentano di sottrarre i propri territori dallo sfruttamento altrui.
Una strage implacabile e tragicamente silenziosa, insomma, che ci auguriamo che termini il prima possibile.
Lidia Fontanella