Sono cinque milioni i curdi che hanno votato al referendum consultivo sull’indipendenza voluto dal Presidente Masoud Barzani. Il sì vince con il 91,8% ma Bagdad rifiuta l’ipotesi di negoziare una separazione dei curdi dall’Iraq; intanto la Turchia di Erdogan minaccia sanzioni pesanti e avverte: “consideriamo anche l’opzione militare“.
I seggi hanno chiuso un’ora dopo il previsto per dare modo a tutti di votare e si è registrata un’affluenza del 78%. Il risultato del referendum, seppur scontato, ha portato a grandi celebrazioni non solo a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, ma anche in zone miste come Kirkuk o nelle vicine enclavi curde in Turchia, Siria e Iran.
Dopo i festeggiamenti però, il Presidente Barzani dovrà fare i conti con le reazioni dei paesi vicini che, per ora, sono totalmente ostili. In primis Bagdad che rifiuta qualsiasi trattativa per una secessione curda e lancia un ultimatum: “Il controllo degli aeroporti deve tornare al governo iracheno, altrimenti saranno vietati tutti i voli internazionali da e per il Paese“. La risposta di Barzani non si è fatta attendere ed ha invitato il premier iracheno Heidar al-Abadi a “intavolare un dialogo costruttivo piuttosto che continuare a minacciare il popolo curdo“.
Durissima anche la reazione di Erdogan che ha accusato Barzani di tradimento e preannunciato il blocco di aiuti e rifornimenti. Il premier turco ha dichiarato:
Nonostante tutti i nostri avvertimenti l’Autorità regionale del nord Iraq ha voluto tenere il referendum per l’indipendenza. Ora l’ha approvato il 92%. Ma questo vale una guerra? Chi accetterà la vostra indipendenza? Solo Israele. Ma il mondo non è solo Israele. Il Kosovo purtroppo non è ancora riuscito a essere uno Stato.
Lo stesso Erdogan ha poi messo in guardia i curdi dal “rischio di una guerra etnica e confessionale” che potrebbe scoppiare se il progetto indipendentista dovesse procedere. Ma le minacce del premier turco sembrano più un monito per la (grande) minoranza curda residente in Turchia che una vera e propria dichiarazione d’intenti.
Tiepidi i toni di Stati Uniti e Russia. Washington, da sempre amica dei curdi, sottolinea la crescente instabilità dell’area e il Cremlino ha evidenziato l’importanza di salvaguardare gli equilibri della regione. I toni prudenti sono giustificati da interessi economici (un nuovo gasdotto russo verrà costruito nell’area del Kurdistan iracheno) e militari (i curdi sono un potente alleato degli USA nella lotta allo Stato Islamico).
Più complessa la posizione di Damasco che si dice pronta ad aprire un dialogo sull’indipendenza dei curdi siriani ma non tollererà un referendum come quello iracheno.
L’ipotesi di una guerra sembra, insomma, ancora molto lontana ma non da escludere una volta che lo Stato Islamico sarà stato rimosso dall’Iraq e il Presidente Bashar al-Assad potrà concentrare la sua attenzione sui curdi.
Davide Cocconi