Tre giorni fa è stato pubblicato su Nature Climate Change uno studio che traccia una mappa delle specie di pesci, sia marine che di acqua dolce, più minacciate dal riscaldamento delle acque dovuto ai cambiamenti climatici in corso.
Lo studio si è basato sul comparare i dati di circa 80 anni di ricerche nei laboratori di tutto il mondo, a questo proposito prima di entrare nello specifico dei risultati lasciatemi fare due considerazioni banali su come funziona la ricerca scientifica, che non fa mai male ricordare:
1) la prima è sulla natura degli esperimenti, “ma quanto sono inutilmente crudeli” penserà qualche animalaro minus habens “questi scienziati che fanno esperimenti senza utilità in cui fanno morire dei pesci testandone la resistenza all’aumento di temperatura?” ora quei dati, raccolti magari decenni fa, sono serviti per creare una mappa che potrà essere uno strumento prezioso per cercare di salvare l’intera specie a cui quegli esemplari appartenevano.
2) solo il rispetto ferreo di procedure standard nell’effettuare esperimenti permette di svolgere ulteriori studi, come quello in questione, utilizzando dati da esperimenti diversi come se facessero parte di uno solo.
La mappa delle specie di pesci messe a rischio dal riscaldamento delle acque
Perché parliamo di mappa? perchè quello che hanno fatto i ricercatori è stato prendere i dati sperimentali sulla tolleranza all’innalzarsi della temperatura di circa 500 specie di pesci, che però per via della somiglianza con specie analoghe considerano validi per estensione per quasi 3000 specie, e andare a sovrapporle con i dati sul riscaldamento delle acque. Facciamo qualche esempio: una specie potrebbe essere fra le più minacciate perché è fisiologicamente particolarmente sensibile ai cambiamenti di temperatura, un’altra specie di pesci potrebbe esserlo non per sue caratteristiche fisiologiche ma perchè vive in posto dove il cambiamento climatico si fa sentire di più e il riscaldamento delle acque è o sarà in futuro, più importante.
Ma non è finita qui, i ricercatori si sono anche chiesti, che alternative ha un pesce esposto a questo cambiamento climatico? Essenzialmente tre: 1) riesce ad adattarsi, 2) si sposta in acque con le caratteristiche di temperatura desiderate, 3) muore.
Premesso che la terza possibilità è quella che vorremmo evitare e che la prima non sembra molto praticabile a causa della velocità dei cambiamenti e dei dati storici evolutivi sulla capacità di adattamento all’innalzarsi della temperatura, rimane la seconda. E qui arriva l’altra questione di cui si sono occupati i ricercatori della School of Aquatic and Fishery Sciences dell’Università di Washington a Seattle. Noi abbiamo costruito un sacco di impedimenti allo spostamento dei pesci, perlomeno per quelli di acqua dolce nei fiumi, a cominciare dalle dighe e le famose scale per pesci hanno un’efficacia piuttosto limitata. Se vogliamo fare qualcosa per proteggere i pesci dai cambiamenti climatici bisognerà agire in proposito.
Ho parlato della metodologia dello studio ma non dei risultati, ovviamente non posso fare un elenco che lascerebbe il tempo che trova, basterà dire che non ho fatto i due esempi a caso, le specie più a rischio risultano essere non quelle oceaniche ma i pesci dei mari tropicali e quelli di acqua dolce dell’emisfero boreale (o emisfero settentrionale, cioè il nostro), i motivi sono proprio quelli addotti quando ho fatto gli esempi: i pesci tropicali sono tra i più sensibili al cambio di temperatura, mentre i corsi d’acqua dell’emisfero boreale sono quelli che stanno andando incontro alle variazioni di temperatura più importanti. In questo caso fanno notare i ricercatori anche riforestare le sponde dei fiumi garantendo più ombra potrebbe aiutare a contrastare il riscaldamento delle acque.
Roberto Todini