Pochi sanno che la follia dello sterminio nazista prese le mosse dalla decisione di liberare la società da quelli che la cieca sete di potere del regime non vedeva che come zavorre: i disabili.
“Vite indegne di essere vissute”: così vedeva il Führer i diversamente abili, vite superflue per il progresso della nazione. Così, furono loro le prime cavie della folle ferocia nazista che poi avrebbe portato alla Shoah.
La perversa ottica eugenetica di Hitler e le teorie sulla razza iniziarono ad essere tradotte in pratica nel 1933, con una campagna di sterilizzazione a danno dei diversamente abili. Nel frattempo, le menti della popolazione tedesca, fin dalla più tenera età, venivano infarcite d’odio per queste persone, attraverso martellanti campagne atte a sottolineare l’eccessivo costo del mantenimento dei portatori di handicap sul bilancio statale. Non era infrequente, tra i banchi di scuola tedeschi, imbattersi in problemi simili a questo:
Esercizio 97
Un malato di mente costa circa 4 marchi al giorno, un invalido 5,50 marchi, un delinquente 3,50 marchi. In molti casi un funzionario pubblico guadagna al giorno 4 marchi, un impiegato appena 3,50 marchi, un operaio non qualificato neanche 2 marchi per ciascun membro della famiglia.
a. Rappresenta graficamente queste cifre. Secondo prudenti valutazioni in Germania ci sono 300 000 malati di mente, epilettici ecc. in case di cura.
b. Quanto costano annualmente costoro complessivamente se per ciascuno ci vogliono 4 marchi?
c. Quanti prestiti matrimoniali dell’ammontare di 1000 marchi l’uno – con rinuncia a qualsiasi successiva restituzione – si potrebbero stanziare ogni anno con questi soldi?”
La propaganda fu portata perfino al cinema: nel ’49 uscì il film “Io accuso”, nel quale la moglie di un importante scienziato, ammalatasi di sclerosi multipla, supplicava il marito di risparmiarle la sofferenza di divenire “paralizzata e ritardata”.
Poi si passò allo sterminio: il regime rivolse dapprima contro i più indifesi e fragili, i bambini. Nel 1938, sfruttando il piccolo (o della piccola: è stata cancellata anche questa traccia della sua individualità) Knauer, nato con gravi handicap- sulla natura dei quali, peraltro, mancavano informazioni precise ed univoche-, come esperimento pilota delle uccisioni, Hitler avviò una vero e proprio articolato programma di soppressione dei neonati con disabilità fisiche o mentali.
Ad occuparsene era uno degli uffici della Kdf, la cancelleria privata del Führer, assieme ad una serie di operatori- non sempre esperti di scienza medica- accuratamente selezionati al fine di mantenere il massimo silenzio sui dettagli di quello che, per le famiglie ed i medici curanti, era un’indagine scientifica dedicata ad aiutare i bambini che soffrivano di gravi disturbi, condotta da quello che sulla carta era un Comitato per la registrazione scientifica di gravi disturbi ereditari. Nei fatti, quest’apparato burocratico decideva della vita di bambini disabili con la semplice apposizione di un “+” o di un “-” su un modulo che medici ed ostetriche dovevano per legge compilare qualora, alla nascita, i piccoli manifestassero i sintomi di una serie di patologie.
Per non destare sospetti, la morte veniva cagionata o mediante una progressiva privazione dell’alimentazione o attraverso la somministrazione di quantitativi eccessivi di medicinali, che causavano decesso per insufficienza respiratoria..
Col tempo, questa struttura venne ampliata; alle operazioni di uccisione vennero dedicati appositi reparti ospedalieri (lontani dagli altri per mantenere il carattere “strettamente confidenziale” degli assassinii), mentre l’età delle vittime si alzava, arrivando fino all’adolescenza.
Poi ci fu il progetto “Aktion T4” (o, più semplicemente, T4, il cui nome deriva semplicemente dall’indirizzo del quartier generale, il civico 4 di Tiergarten straße), massiccia operazione che, secondo le parziali stime ufficiali, condusse alla morte di 70.000 disabili. Il movente fu economico: si stimò che avrebbe risparmiato all’erario del Reich 885.439.980 marchi, escluse le spese di mantenimento ed alimentazione.
Il T4 fu avviato in un castello isolato, non distante da Berlino, ancora una volta per non destare alcun sospetto. Le medesime esigenze di segretezza spinsero in seguito ad usare nomi in codice per le strutture successivamente dedicate al progetto- antenate dei campi di concentramento-, nonché per tutti i funzionari coinvolti.
Il procedimento di sterminio era improntato ad una rigida organizzazione: si prelevavano i pazienti designati dai loro istituti di cura (cui veniva rilasciata regolare ricevuta); giunti presso i campi, si procedeva allo smistamento dei disabili, che venivano quindi privati dei loro effetti personali- requisiti dal regime-, si procedeva ad una sommaria visita medica che aveva l’obiettivo di individuare denti d’oro e protesi di valore. L’uccisione avveniva in camere a gas.
Naturalmente, ai disabili ebrei fu riservato un trattamento, se possibile, ancora più crudele: essi dovevano essere infatti dichiarati al regime, che provvedeva quindi a trasferirli in altre strutture assistenziali- che, ovviamente, altro non erano che campi di sterminio. Ai loro cari, ansiosi di ricevere notizie, veniva comunicato che erano stati spostati a Chelm, in Polonia, fornendo loro il relativo indirizzo cui versare il denaro necessario per l’assistenza. Dopo qualche mese si comunicava il decesso; se i parenti avevano qualcosa da obiettare, dovevano rivolgersi al governo centrale.
In seguito il Reich cercò di giustificare l’imponente numero di morti tra i disabili (concetto, peraltro, progressivamente esteso dal regime, fino a ricomprendervi, tra gli altri, omosessuali e persone con lievi problemi di tossicodipendenza), incolpandone il conflitto mondiale. Dal 1941 in poi, in particolare, prese avvio una vera e propria campagna di dissimulazione, che rende ancor oggi impossibile stabilire con esattezza il numero delle vittime.
E’ necessario, però, che la strage dei disabili, passata in sordina rispetto agli altri crimini nazisti, venga ricordata, soprattutto in un momento storico come quello attuale, in cui sempre più si radica una cultura di odio e discriminazione.
Lidia Fontanella
Io accuso e’ del ’39, non del ’49 e soprattutto non vedo menzione del fatto che politiche eugenetiche le fecero prima della Germania alcuni dei paesi piu’ civili e progrediti come Svezia, Canada, Giappone, Stati Uniti (sic!)
Prescindendo dal refuso su “Io accuso” (che, per inciso, è effettivamente del ‘41, non del ‘39 né del ‘49), il senso dell’articolo non è asserire che solo i nazisti abbiano realizzato politiche di questo tipo, quanto piuttosto fare riferimento a questi specifici eventi. Prossimamente ci occuperemo anche di altri casi analoghi.