C’è più senso che colpa nel Senso di Colpa
Non sono uno psicologo (non posso avere tutti i difetti), quindi non affronterò il tema del “Senso di Colpa” in termini pseudo-clinici. Anzi, giocherò più con il termine “senso” che con quello di colpa.
Quindi nessuna suddivisione del “problema” in conscio e inconscio, nessuna scuola di pensiero che va da Freud a Gorczyca.
La colpa esiste, nel nostro relazionarci agli altri possiamo commettere errori di varia natura e intensità, e la nostra coscienza, più o meno avvezza all’empatia e alla compassione, in qualche modo ne resta coinvolta, spesso anche con l’indifferenza.
Sull’esistenza del “Senso” di colpa – au contraire – nutro le mie perplessità nonostante dilaghi in ogni anfratto delle nostre irripetibili – e mai accettate come altrettanto banali – esistenze. Insomma il senso di colpa è come Scilipoti … c’è – un incidente di laboratorio l’ha creato – ma non dovrebbe esistere!
Ora veniamo al termine “Senso”. Tale parola ha una variopinto ventaglio di significati e tutti riescono a vestire il sostantivo “colpa” in modo perfetto.
Per “Senso” possiamo intendere qualcosa che ci raccapriccia, e il senso di colpa ha addirittura una funzione preventiva, possiamo tranquillamente sentirci in colpa senza ancora aver commesso niente: abbiamo così paura di sentirci in colpa, ci fa talmente “Senso”, che preferiamo agire cavalcando questo Ronzinante delle nostre paure anche da fermi. Spesso il senso di colpa preventivo ci immobilizza, altre volte “preferiamo strategicamente” che ci immobilizzi: quando, ad esempio, siamo abitati dall’ incertezza o quando, in fondo, la strada vecchia, rispetto alla nuova, è ancora sicura ed appetibile, e quando, detto in talleri … il peccato non vale la colpa!
Altresì per “Senso” possiamo intendere un aspetto connaturato del nostro essere come l’udito, la vista, l’olfatto, etc. etc. etc. . E qui il senso di colpa mostra il suo millenario radicamento. Ci appartiene. Ci appartiene come il tatto, come il gusto e come tutti i gli altri sensi. Non possiamo prendere qualsivoglia decisione “per noi”, per la nostra felicità, senza mettere in conto una “fantomatica” dose di colpa da espiare. Non si può cercare di esser felici per sé stessi senza pensare che uno scotto va pagato. La fregatura è sempre dietro l’angolo. Il rapporto con la nostra serenità diviene così economico, addirittura commerciale: tutto ha un prezzo, anche la gioia, anche il naturale desiderio di star bene.
Se non vogliamo essere tutti dei Sardanapalo viziosi ed edonisti ci tocca una punta di penitenza, ma non per i nostri “peccati”… bensì per il nostro vitale e sacrosanto desiderio di felicità. L’eudemonia non è di questo mondo… dicono. Così l’impegno si trasforma in sacrificio, la vita in una corsa a ostacoli nell’impervio e arido territorio del dolore dal quale riusciamo con orgoglio a trarre tutti gli insegnamenti “veri”! Che cul*!
Per “Senso”, inoltre, possiamo anche intendere una “direzione”, e qui – Signore e Signori – assistiamo al capolavoro, all’acme di un millenario sforzo dedito all’infelicità: non possiamo fare a meno di “interpretare” ogni nostro accadimento come “il risultato” del nostro comportamento. Se siamo stati bravi forse ci tocca un posto statale e un onorevole pensione, se siamo stati cattivi saremo Berlusconi … però andremo all’inferno morendo tra indicibili sofferenze perché posseduti dalla nostra ipertrofia prostatica! Anche se la dottrina Calvinista ci insegna che il grado di salvazione di un uomo rispecchia esattamente la sua riuscita in vita: quindi per loro non solo Silvio sarebbe da beatificare ma Stalin addirittura da innalzare agli onori degli altari. Dunque converrete con me che qualcosa non quadra.
In pratica la storia ci ammonisce nelle medie e piccole dimensioni, per noi comuni mortali è una severa maestra però esalta gli str*nzi nelle alte sfere. Ognuno ha il suo solco, a noi ci tocca quello dell’inculatura… ma lo accettiamo, perché la cambiale scoperta dell’espiazione è sempre dietro l’angolo e perché “il troppo bello per essere vero” nasconde sempre la magagna! Poi dicono che la fortuna aiuta gli audaci… no signori miei!, la verità è che la sfiga e il sacrificio ce li hanno fatti passare come imprescindibili voci del nostro disgraziato curriculum. Solo se canticchi mentre ti spezzi la schiena in miniera poi ti trovi una Biancaneve distesa sul letto pronta per te e che poi ti fa anche la cortesia di sposarsi un altro.
Dunque è più il “Senso” a permeare perniciosamente la colpa; quella poveraccia – già di suo piuttosto racchiotta – sta lì, dovrebbe manifestarsi esclusivamente quando commettiamo qualcosa, palesarsi semplicemente dopo le nostre possibili malefatte, farci agire di conseguenza e nulla più, ma è il senso (nelle sue innumerevoli accezioni) ad essere sospettosamente onnipresente. E’ il senso ad anticipare, a condizionare, ad immobilizzare, perché il senso è già un “significato” e noi non possiamo non dare significati alle cose, anche a quelle che ancora non ci coinvolgono ma corrono il rischio di farlo. Un significato dobbiamo darlo a tutto, anche a ciò che “in teoria” potrebbe riguardarci…e noi le spalle ce le dobbiamo guardare. Che bella vita, con una mano avanti e una di dietro e senza che tale cautela ci preservi in alcun modo da un’inattesa sodomizzazione.