Il 27 Agosto 2006 perdeva la vita Renato Biagetti, ucciso dalla vile mano assassina di due ragazzi fascisti. La lettera della madre è diventato un grido contro l’indifferenza.
Renato Biagetti era un giovane ragazzo di 26 anni. Era, perché la tragica sera del 27 Agosto 2006 è stato assassinato da due fascisti. Due ragazzi che non sopportavano la sua vista, la vista di una “zecca” che era appena stato a un concerto di musica Reggae. Una musica troppo “rossa” per la mentalità ottusa di cui si ciba il fascismo.
Un ragazzo di 17 anni e uno di 19, hanno tolto la vita a Renato per via di un ideale malato. Otto coltellate che non hanno permesso al ventiseienne di sopravvivere. Fu quella la fine di un brillante ragazzo laureato in ingegneria. Su una spiaggia di Focene, Roma, alle 2 di una calda estate.
La madre non riesce a farsene una ragione e poco tempo dopo scriverà una lettera che tuttora è un inno a combattere l’indifferenza. Un inno al coraggio. Quello di una madre di scrivere invocando a tutti di trovare a loro volta il coraggio per non restare indifferenti davanti a queste violenze.
Una lettera scritta a nome del figlio, una lettera che ci permette un ultimo contatto con Renato…
Mi chiamo Renato Biagetti. A me i fascisti non fanno paura. Non mi hanno mai fatto paura. Nemmeno quando mi hanno ucciso.
Quelli che mi fanno paura sono quelli che non dicono nulla, non vedono nulla, non sanno nulla. Quelli che ancora pensano che sono ragazzate o che “quelli come me se la sono andati a cercare”. Quelli che dicono che è folklore. Bandiere nere, svastiche, saluti romani. Folklore, come i ballerini con il tamburello o le processioni con il santo con appesi i serpenti. Fenomeni marginali, sacche di delinquenza. Risse tra balordi. Tre righe in cronaca.
Intanto si riscrive la storia. Si mischiano i morti. Si dimenticano cause, ragioni. Io sono morto per loro. Non per voi. Sono morto per loro. E a loro continuo a pensare.
E’ tutto così assurdo. Un brutto film, uno di quelli in cui la sceneggiatura non gira. Eppure in quel film io ci abitavo, come ci abitate voi. Un Paese che ancora non si è stufato delle morti come la mia. Un Paese in cui tutto è normale. Anche morire fuori da una festa di musica reggae. 8 coltellate. Una è stata così forte che addosso mi è rimasto il segno del manico del coltello.
Tutto normale. Anzi normalissimo. Cosa c’è di strano? Si comincia sempre così. Di questo ho paura.
“A me i fascisti non fanno paura” è il grido con chi si apre la lettera. Difficile non aver paura quando ti ritrovi di fronte due individui armati di coltelli. Ma ci sono persone che si nutrono della tua paura, che ci campano, che ci fanno campagne politiche. Allora bisogna trovare la forza di reagire.
Forza che ha trovato la madre di Renato Biagetti, che ha saputo affrontare la tragedia più grande per una mamma, e che ci invita a trovare la forza di non arrendersi a chi si sente in diritto di imporre con violenza il suo ideale malato.
In questi giorni, dove le notizie ci dicono che i neo-nazi si stanno armando, ancora più folte dev’essere la non paura. A me i fascisti non fanno paura, a me i violenti non fanno paura.
Se la loro più grande paura è il buonismo, di buonismo periranno. Renato Biagetti non è morto ma vive in tutti coloro che hanno e trovano la forza di non piegarsi. Renato vive.
Christian Gusmeroli