Oltre al conte Dracula, esiste una Contessa Dracula: la nobildonna ungherese Erzsébet Báthory (1560-1614). La sua casata era protestante, per l’esattezza calvinista; il Regno d’Ungheria era però formalmente incluso nei territori dei cattolici Asburgo. Questo fatto giocherà un ruolo nelle “teorie del complotto” che vorranno la contessa vittima di una cospirazione infamante. Il conte palatino d’Ungheria, cui le indagini su di lei furono affidate, avrebbe potuto trarre merito dalla condanna agli occhi di Mattia II d’Asburgo. Questi avrebbe anche potuto approfittare della situazione per confiscare l’ingente patrimonio della nobildonna e ridimensionare il potere del suo casato. Tuttavia, dati i risultati dell’indagine che incriminarono la contessa come serial killer, è difficile credere in toto a una montatura.
Erzsébet Báthory fu cresciuta in una posizione di privilegio e ricevette un’eccellente istruzione (conosceva, oltre alla lingua madre, il tedesco, il latino e il greco). A undici anni, fu fidanzata al conte Ferenc Nádasdy, che sposò quattro anni dopo. Come madre e castellana, pare fosse ineccepibile (almeno in quello…). Le frequenti assenze di Nádasdy per ragioni militari la lasciavano interamente responsabile del benessere della popolazione, comprese le cure mediche. Addirittura, si prodigò a favore di donne abusate o rimaste sole. Così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano? Il marito, comunque, la lasciò vedova, erede di considerevoli ricchezze e potere. Dono di nozze dello sposo a Erzsébet era stato il castello di Čachtice, o Csejte che dir si voglia, nell’attuale Slovacchia: teatro dei suoi delitti e, in seguito, sua prigione.
Nel casato dei Báthory, i continui matrimoni fra consanguinei avevano rafforzato le tendenze ereditarie alle malattie del sistema nervoso, fra cui schizofrenia ed epilessia. La “vulgata” vuole che Erzsébet, già all’età di sei anni, avesse assistito a una cruda esecuzione: uno zingaro, colpevole di aver venduto i propri figli ai Turchi, fu rinchiuso vivo nel ventre di un cavallo eviscerato. Essendo rimasta libera la testa del condannato, le sue urla attirarono la bambina. Da questo aneddoto, Siouxsie and the Banshees hanno tratto uno dei loro brani, inserito nell’album Tinderbox (1986): An Execution.
Oltre all’abitudine dei nobili alla tortura, pare proprio che su Erzsébet abbiano influito le tare di famiglia. Lo scrittore e archeologo Matthew Beresford così dice di lei:
“Affetta da crisi nervose, emicranie e lunghi stati catatonici, trovava sollievo umiliando, picchiando e torturando le giovani cameriere al suo servizio.” (Storia dei vampiri, Bologna 2009, Odoya, p. 135).
A lei si dovrebbe l’invenzione della “Vergine di Ferro” (simile a quella di Norimberga): un manichino dalle fattezze femminili dal quale fuoriuscivano lame, se qualcuno si avvicinava troppo.
Pare che i suoi interessi annoverassero la magia nera: un passatempo durante le assenze del marito e la successiva vedovanza. In merito all’argomento, si citano sue lettere al consorte, in cui parlava degli incantesimi appresi. Sicuramente, era una donna colta e senza pregiudizi culturali. Difficile però discernere leggenda e realtà, per quanto riguarda le sue pratiche. Il numero di omicidi attribuitole è usualmente di 650, che è però esorbitante e incerto. Le è stata attribuita l’abitudine di impiegare il sangue delle vergini per ringiovanire: si tratta di una diceria nata nel 1729, con la pubblicazione della Tragica Historia del gesuita László Turóczi. I testimoni d’accusa nel processo, però, mai menzionarono una cosa simile.
Sembra invece indubitabile il sadismo della Báthory. Il suo castello conservava le macabre prove, corpi femminili morti o agonizzanti, con segni delle più varie torture. Essendo luterano il ministro che sporse le prime accuse contro di lei, non si può pensare a un complotto cattolico contro di lei. E, naturalmente, bisogna tener conto delle testimonianze registrate: più di trecento, fra preti, nobili, sudditi, personale del castello di Sárvár (un’altra dimora della contessa). Inaffidabile sembrerebbe invece la versione per cui György Thurzó, conte palatino d’Ungheria, avrebbe colto la serial killer in flagrante. Le vittime erano prevalentemente ragazze del popolo, assunte come cameriere; non mancavano però le figlie della nobiltà minore, inviate alla contessa perché desse loro un’istruzione. Proprio l’aver versato sangue blu costò alla Báthory i guai maggiori. Scampò bensì alla condanna a morte, ma solo per passare gli ultimi anni della propria vita in completa segregazione (senza finestre, con poche fessure per il passaggio di cibo e aria).
La leggenda della contessa che ringiovaniva col sangue delle fanciulle non è però venuta meno. Continua a ispirare i cultori di vampirismo, nonché la fiction. Del 1971, per esempio, è il film Countess Dracula, diretto da Peter Sasdy, con una bellissima Ingrid Pitt nel ruolo della protagonista. Il titolo è chiaramente un’allusione alla passione della sadica nobildonna per il versamento di sangue femminile. In Italia, è divenuto La morte va a braccetto con le vergini. Sesso e sangue, uniti per sempre.
Erica Gazzoldi