Dal 21 gennaio 2017, Palazzo Martinengo Cesaresco a Brescia ospita la mostra “Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento ”. Un tipo di esposizione dal sicuro successo, data la gradevolezza estetica e l’appello emotivo delle opere. Sala per sala, si passa dal Romanticismo alla Scapigliatura, dall’orientalismo ai macchiaioli… “Ottocento” non si può declinare al singolare.
L’inizio della mostra è all’insegna del Neoclassicismo. Esso prese le mosse dalla scoperta di Pompei ed Ercolano (1738). Il desiderio di recuperare il passato greco e romano animò un testo chiave della nuova sensibilità estetica: le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, di Joachim Winckelmann (1755). Questo filone, a ogni modo, si fondava su un’idea “distorta” delle opere d’arte antiche: quella data dallo stato attuale dei reperti, non da ciò che erano all’epoca della realizzazione. Il Neoclassicismo è infatti famoso per una compostezza, un biancore e una solennità che contrastano con quel che erano le coloratissime sculture e architetture della grecità. A predominare in questa sezione della mostra, a ogni modo, non può essere che il pittore e scultore Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822). Le sue sculture, alla compostezza, uniscono grazia e temi galanti (Amore e Psiche stanti, 1796; Le Grazie, 1799).
Il passo successivo, naturalmente, è il Romanticismo. I riferimenti al passato rimangono, ma prediligono il Medioevo: se l’antichità era (idealmente) l’età dell’armonia, questa è quella delle autonomie comunali… e delle oscure passioni. Lo mostra bene Carlo Arienti (Arcore, 1801 – Bologna, 1873), ritraendo Bice del Balzo ritrovata da Marco Visconti nel sotterraneo del castello di Rosate (1850-1860 circa). Il soggetto è tratto dal romanzo storico d’ispirazione manzoniana Marco Visconti, di Tommaso Grossi (Milano, 1834). Nel romanzo, il Visconti viene respinto da Bice, che ama invece il cugino di lui. Marco perseguita il rivale; ma i suoi sforzi causano, invece, la morte della ragazza. La tela rappresenta proprio la catastrofe finale.
Il “nome di grido” della sezione è però quello di Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882), com’è evidente fin dal titolo della mostra. Così come Arienti, questo artista operò principalmente a Milano. La metropoli lombarda era infatti il cuore delle istanze romantiche in Italia. La mostra non ospita il celeberrimo Bacio (1859), ma altre opere non meno interessanti, in cui spiccano la preparazione storica e il sentimento religioso del pittore. È il caso di Maria Stuarda nel momento che sale al patibolo (1827) e La Vergine Addolorata (1842).
Per quanto la sensibilità romantica potesse essere contrapposta a quella neoclassica, cenni all’antichità non mancano neppure in questa sezione. Ci riferiamo alla tela mitologica Selene ed Endimione (1850 circa), di Enrico Scuri (Bergamo, 1806-1884).
La tappa successiva è la Scapigliatura, così detta dal romanzo di Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti): La Scapigliatura e il 6 febbraio (1861). Il termine designa una temperie culturale tipicamente lombarda, creata da una consorteria di artisti ingegnosi ed irrequieti che vivevano tra il mondo dei salotti “bene” e quello delle osterie. Questa loro indole “mista” si riflette ovviamente nelle opere, tra soggetti di quotidianità quasi “veristica” e scene di vita altoborghese. Il filo conduttore è quello dell’emotività che si cerca di trasmettere all’osservatore. Un esempio tipico è quello di Tranquillo Cremona (Pavia, 1837-Milano, 1878).
I Macchiaioli furono invece un’avanguardia caratterizzata da schiettezza e umanità. Le “macchie” di colore e chiaroscuro dovevano servire a rappresentare la prima idea del dipinto, l’intuizione alla base della creazione artistica. I soggetti erano tratti perlopiù dalla realtà campagnola.
Gli Orientalisti prediligevano invece scene esotiche: dalla Turchia, dal Nordafrica, dal Medio Oriente. Il filone traeva impulso dal Voyage dans la Basse et la Haute Égypte (1802) di Dominique Vivant Denon, che documentava la campagna in Egitto di Napoleone. Tra realismo e sogno, questa corrente è testimone di una fervida curiosità verso mondi “altri”.
Di tutt’altro genere è la “Pittura della realtà”, dedicata alla vita delle classi popolari e dai connotati quasi fotografici. Ne sono un esempio le Beffe al gatto (1877) di Gaetano Chierici (Reggio Emilia, 1838-1920): due bimbi, in una cascina, fanno linguacce alla bestiola, fra tacchini, galline e pulcini. Nella sezione, ricorre il nome di Angelo Inganni (Brescia, 1807-1880). Dal suo pennello, fra le altre tele, sono uscite Veduta di Piazza Vecchia dal portico della Loggia (1851) e Ragazza che cucina lo spiedo davanti al focolare (1870-1871 circa).
Il Divisionismo, invece, rinuncia alla veduta per scomporre la luce e indagare le leggi dell’ottica.
La mostra approda infine a “Italiani a Parigi nella Belle Époque”. In quel crogiolo artistico che era la capitale francese, anche i pittori di quaggiù cercarono gloria e denaro. Di questa sezione fa parte la tela-simbolo dell’esposizione: Ritratto della principessa Marie Radziwill (1910), di Giovanni Boldini (Ferrara, 1842-Parigi, 1931).
Erica Gazzoldi