Oltre 24 anni sono passati dalla cattura di Totò Riina. Quel 15 gennaio 1993, lungo la circonvallazione di Palermo finiva la trentennale latitanza del feroce capo dei capi di Cosa nostra.
Lui che aveva dichiarato guerra al Paese e che aveva azionato la ‘catena del tritolo‘ in Sicilia e nel continente. Bomba dopo bomba, strage dopo strage.
Ha quasi 87 anni, minato nel corpo dalla malattia, ma ritenuto ancora influente, riconosciuto quale capo in grado di comminare sentenze di morte. Ultima tra queste, quella del P.M. Di Matteo.
La carriera(se così si può definire) criminale di ‘Toto’ u curto‘,’la belva‘, è precoce: appena diciannovenne è condannato a 12 anni, pena scontata parzialmente all’ Ucciardone, per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo.
Si associa a Luciano Liggio e con lui, inizia, nei primi anni Sessanta una cruenta guerra di mafia contro il capomafia di Corleone (Michele Navarra).
E’ tra gli esecutori il 10 dicembre 1969 della strage di viale Lazio a Palermo e sostituisce spesso Liggio nel triumvirato di cui fa parte con i boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti.
Intreccia relazioni con la ‘ndrangheta e la camorra, con i fratelli Nuvoletta, camorristi napoletani affiliati a Cosa Nostra, con cui avvia un contrabbando di sigarette.
Nel 1974, successivamente all’arresto di Liggio, diventa il Capo della cosca di Corleone e da qui eserciterà la sua influenza sulla Commissione di Cosa nostra, manovrando Michele Greco.
Un’ascesa inarrestabile, militare ed economica, a colpi di lupara e mitra.
Grazie al solido collegamento con Vito Ciancimino,il sindaco mafioso di Palermo, e con il democristiano Salvo Lima riesce a manovrare tutta l’economia del tempo.
Inarrivabilità che appariva tale anche sul piano giudiziario, fino al maxiprocesso e al 30 gennaio 1992 quando la Cassazione conferma gli ergastoli, sancendo l’attendibilità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta e demolendo il mito di una mafia inattaccabile.
Ma la risposta non tarda a farsi sentire. Infatti, è’ Riina a decidere la strage di Capaci e quella di via d’Amelio.
Durante quell’incontro il capo di Cosa nostra dichiara guerra allo Stato, decretando l’eliminazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il clima diventa sempre più pesante. Si tratta di una calcolata e sanguinaria resa dei conti.
Proprio la sentenza del maxiprocesso, devastante per Cosa nostra, sarebbe, secondo la procura di Caltanissetta che ha portato recentemente a sentenza il quarto processo Borsellino, una delle cause scatenanti della follia stragista.
Cosa nostra guidata da Riina aveva attivato tutte le conoscenze disponibili per arrivare all’aggiustamento finale della sentenza.
Dall’altro lato, Borsellino sarebbe stato a conoscenza dei contatti tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra e si sarebbe opposto alla presunta trattativa.
Il secondo processo per la strage di Capaci ha individuato un mandante che era sfuggito nelle precedenti ricostruzioni giudiziarie, Salvuccio Madonia, ma ha ricostruito soprattutto tutta la fase legata al reperimento, da parte di Cosa nostra, dell’esplosivo. Tritolo utilizzato anche nelle altre stragi del ’93 e che avrebbe consentito a Riina, con tutto l’esplosivo di cui disponeva, di fare la guerra allo Stato.
Riina risulta pericoloso, però, anche dal carcere. Il 41 bis reiterato fa leva su questa consapevolezza, sulla misura del prestigio di cui ancora gode tra le cosche.
In forza di questo il pm Nino Di Matteo diventa la “personalità” più protetta d’Italia.
“Di questo processo, questo pubblico ministero, che mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonni. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Ancora ci insisti? Minchia…. perché me lo sono tolto il vizio? Me lo toglierei il vizio? Inizierei domani mattina“:è Riina a parlare durante l’ora d’aria.
Il 26 ottobre 2013 tutte le intercettazioni confluiscono proprio nel processo che si celebra nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.:”Questo Di Matteo, questo disonorato … Io penso che lui la pagherà pure… lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel’hanno fatta finire a quello palermitano, a quello il pubblico ministero palermitano… Scaglione. A questo gli finisce lo stesso“.
Successivamente, il 16 novembre del 2014 Riina punta di nuovo al pm palermitano: “Vedi, vedi, si mette là davanti, guarda così… mi guarda, guarda con gli occhi puntati così e io pure… a me non mi intimorisce… E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa“.
A distanza di anni e sopratutto a distanza di stragi e vittime di mafia, ancora si parla di quest’uomo che ha devastato un Paese e intere Famiglie.http://www.ultimavoce.it/riina-diritto-morire-dignitosamente/
Si parla della sua dignità di uomo nonostante sia stato in grado di cancellare quella di padri di famiglia, magistrati, poliziotti e uomini della scorta.
Anna Rahinò