In pieno terrore, diretto ed indiretto, è facile per una certa narrazione politica accomunare (o quanto meno giustificare chi lo fa) il terrorismo ad un’intera fascia della popolazione mondiale, come se non vi fosse altro che un’equazione diretta : Isis = Islam.
L’Islam è una religione e come tutte le altre religioni è soggetta ad interpretazione personale e a strumentalizzazione politica, del resto è quantomeno improbabile che un Altissimo (quale che sia) scenda giù a smentire una qualsiasi corrente di pensiero, anche la più violenta. Di più: la religione, basandosi più sulla fede cieca che sulla fattualità empirica, rappresenta semplice luogo di aggregazione e di conforto per coloro che si sentono esclusi dal comparto sociale, che provano rancore e disagio, umano e politico, e che cercano uno scopo e un’appartenenza. Et voilà: l’estremismo è servito. L’islam non è l’unica religione soggetta a questa deriva, basti pensare alle altre stragi commesse in nome di Dio: il terrorista cattolico e norvegese Anders Breivik, gli istituti correttivi cristiani per omosessuali, i suicidi di massa delle varie sette religiose, la politica delle vergogna nei credi orientali, gli esorcismi e via elencando diversi esempi di violenza sull’altro giustificata in nome di Dio.
Allora perché è così facile accomunare l’Islam al terrore? L’Islam appartiene ad zona del mondo che conosciamo poco, che ha una storia molto diversa dalla nostra e che è rimasta chiusa su sé stessa per secoli; ma soprattutto è l’ignoranza, intesa come non conoscenza e relativa pigrizia, a nutrire questa convinzione in merito al fatto che “ogni islamico è un terrorista”: noi non conosciamo l’Islam e di conseguenza crediamo e condividiamo a nostra volta una serie infinita di bufale che non fanno altro che accrescere la divisione tra “noi” e “loro” e, di conseguenza, ad aumentare l’odio di cui poi, il terrorismo, si nutre.
Quali sono le maggiori bufale occidentali sull’Islam? Eccone cinque.
1. Abbiamo due divinità diverse e quindi l’Islam sputa sui nostri testi sacri. Il primo popolo arabo, e quindi Maometto stesso, si considerava discendenza diretta di Ismaele, figlio di Isacco, così come raccontato nella Bibbia: stiamo parlando quindi dello stesso identico Dio, è la sua Parola ad essere diversa. Per gli islamici la Bibbia e il Nuovo Testamento rappresentano una versione imprecisa della Rivelazione, mentre il Corano ne è la versione definitiva, la versione 2.0 in sostanza. L’islam riconosce anche l’importanza profetica di Gesù Cristo e di tutti i profeti ebraici. Per questo motivo, secondo l’Islam, il mondo si divide in tre categorie: I fedeli (cioè gli islamici), gli infedeli (apostati, atei e followers di altri credi) e gli Scritturari o Genti del Libro, cioè i cattolici, i cristiani e gli ebrei che sono da trattare con rispetto in realtà, poiché hanno capito la Verità divina sebbene non in forma completa.
2. Jihad vuol dire guerra contro gli infedeli e contro noi occidentali. Il termine Jihad significa “sforzo”, nel concreto “sforzo interiore per raggiungere Dio” e riguarda l’atteggiamento che ogni fedele deve avere con Dio Padre. Allora perché si parla di Guerra Santa? Perché in effetti Maometto ne parla, in alcuni versetti del Corano, salvo poi ritrattare, in una gran confusione … da dove arriva questo gap? E come risolverlo? Occorre contestualizzare la storia di Maometto per capire la legge Coranica: Maometto ha predicato sia alla Mecca sia a Medina, qui i suoi versetti diventano più crudi e violenti a causa di alcune lotte intestine presso le tribù al suo comando. Per altro Maometto non scrisse mai nulla, furono i discepoli a farlo, e la sua parola fu poi riorganizzata non in senso cronologico ma per lunghezza dei versetti; si può ben capire come sia quindi difficile ricostruire la vera evoluzione del pensiero di Maometto, trarne una versione definitiva, e quindi come sia facile strumentalizzare.
3.Il Corano predica istituti oppressivi della donna, come il burqa e l’infibulazione. Riguardo all’oppressione della donna, dentro e fuori dalla religione, si dovrebbe aprire un capitolo infinito (che esula anche da questo contesto). Innegabilmente, quindi, esiste un’oppressione e controllo della donna che è trasversale e che sicuramente trova terreno fertile nelle religioni. L’Islam non fa eccezione. Queste due pratiche estreme, però, non sono istituti islamici: non troverete traccia di burqa e infibulazione nel Corano e suoi annessi. l’Infibulazione è una pratica tribale appartenente alle tribù animiste del sud del Sahara, mentre il burqa è un istituto del pastunwali afghano, proprio quindi dell’Afghanistan e del Pakistan. Entrambi questi istituti vengono fatti ricondurre all’Islam mediante tentativi forzosi e grezzi dagli stessi estremisti, come i talebani, al solo scopo politico di controllo delle popolazioni sottomesse.
4. Nell’Islam si lapidano le persone, soprattutto le adultere. Il Corano non prevede Lapidazione. Lo diciamo così: crudo e mangiato. Si prevede la pena di morte, come avviene nel (?) progredito Occidente, per reati come l’ omicidio e le lesioni personali. Nemmeno la lapidazione per adulterio è prevista: l’adulterio e la fornicazione sono citati nel Corano come “delitti contro l’onore” e riguardano parimenti uomini e donne e vengono puniti in media con 100 colpi di frusta; il ricorso alla Lapidazione è di nuovo usanza tribale, ricondotta forzatamente all’Islam da parte degli estremisti. Presso i regimi più estremi, la pena di morte è prevista per gli apostati e per gli omosessuali.
5. L’imam è sempre un uomo ed è come un prete che recluta i terroristi. L’imam rappresenta la guida politica della Comunità Islamica: controlla che la politica collettiva sia conforme alla legge coranica; è chiaro quindi che molto è lasciato alla sua interpretazione personale; se egli è estremista lo sarà anche la sua politica. Ci sono Imam che hanno influenza locale/tribale ed imam che influenzano interi stati o sono addirittura transnazionali. Per altro non è nemmeno vero che è sempre uomo: la preghiera del venerdì deve essere guidata da un imam competente in materia di fede, questo può anche essere una donna (recenti casi in Nord Africa).
L’Islam riguarda 2 miliardi di persone in circa 57 Paesi a maggioranza islamica, si può ben capire quindi come esistano diverse correnti, ufficiali o meno, e interpretazioni dello stesso. Moltissimi di questi Paesi sono soggetti a forte povertà, nessun accesso a cure mediche ed istituti scolastici o sono devastati dalle guerre: in queste condizioni diventa così facile strumentalizzare una Rivelazione Divina presso quei popoli la cui maggioranza è analfabeta e non ha la possibilità nemmeno di leggerlo, il Corano. L’estremismo rappresenta come una sorta di mafia: fornisce un’alternativa, una sicurezza, a chi vi si aggreghi, laddove intorno c’è solo fame e indifferenza più totale; colpendo chiunque non si conformi: le prime vittime dell’Isis sono gli islamici stessi; tutti coloro che, istruiti, non concordano con la loro interpretazione totalizzante di Dio e del Mondo. In questo senso la natura stessa della religione aiuta: omnicomprensiva, assolutista, che investe anche il ramo giuridico, sociale e famigliare della vita collettiva (un po’ come accadeva in occidente nel pre-illuminismo e, in parte, accade ancora con l’ingerenza della Chiesa nella politica).
Di recente questa mafia ha incominciato ad avere peso e valore anche fuori dai confini storici, allargando le sue maglie in seno all’Occidente, fornendo un appoggio a tutti coloro che, sebbene istruiti e nutriti, non trovano appartenenza nei paesi che li hanno accolti, non solo per loro mancanze.
La narrativa politica che vede nell’immigrazione il sommo male, che parla di invasione, e allo stesso tempo predica soluzioni più di omologazione che di inclusione, contribuisce invece a creare sacche di esclusione, di povertà e di disagio che avranno come risultato la rabbia e la ricerca di conforto presso altri lidi e organizzazioni terroristiche, come l’Isis che non aspetta altro.
La maggior parte dei kamikaze, infatti, sono giovani immigrati di seconda generazione, spesso isolati e bullizzati, disoccupati e che non trovano appartenenza nello Stato dove sono nati, poiché percepiti come “stranieri”, e nemmeno nei loro paesi di origine, che spesso non conoscono e non hanno mai visitato. In questo profondo smarrimento e isolamento, l’Isis trova i suoi seguaci.
Non si vuole sminuire né tanto meno giustificare, si parla di come agire. Occorre chiedersi se le inadeguate politiche interne e la partecipazione scriteriata a guerre civili e locali non siano una delle concause del terrorismo: non ci staremo dando la zappa sui piedi, incapaci come siamo di vedere il mondo come un insieme fluido di popoli collegati e focalizzandoci invece sul “noi” e “loro”, spingendo così i deboli nelle mani dei reclutatori?
Il terrorismo, l’Isis, non si combattono con la chiusura, con la violenza, con l’odio ma con l’inclusione, l’istruzione (in occidente come altrove), con adeguate condizioni di vita, con l’uguaglianza e un’equa distribuzione delle risorse e dei mezzi. Occorre smetterla di accomunare ogni musulmano al terrorismo e pretendere delle ceneri sul capo e delle scuse che oltre che essere ridicole sono anche fuori luogo; diamo invece spazio, appoggio e fiducia a quelle miliardi di persone che voglio affrancarsi da questi orchi di cui sono essi stessi vittime. Non creiamo divisioni ma uniamoci contro l’atteggiamento criminale e il buio della ragione.
Sono l’egualitarismo e la cultura ci salveranno dal terrore e spegneranno l’odio.
Alice Porta