Pedro Sanchez è tornato segretario del Psoe non su una piattaforma politica precisa, ma sull’onda di una rivolta.
Il gruppo dirigente alcuni mesi fa decise di commissariarlo perché, trovatosi alle strette tra andare per propria scelta alle terze elezioni politiche consecutive col rischio di un ulteriore indebolimento e il tollerare un Governo di minoranza di Rajoy, preferì questa seconda scelta. Le modalità furono allora improvvise e anche un po’ rocambolesche.
Per di più, di fronte alla volontà di rivincita si Sanchez, il gruppo dirigente non è riuscito a trovare una candidatura alternativa convincente.
Patxi Lopez, già Presidente regionale del Paese Basco e Presidente della Camera, ha il classico problema di baschi e catalani, non riuscire ad aggregare oltre il proprio ambito territoriale.
Susana Diaz, Presidente dell’Andalusia, copre uno spazio politico tradizionale di una regione naturalmente socialista, ma di per sé non è sembrata più convincente per tornare a far cresce il Psoe.
Detto questo, Sanchez, ha le risorse per portare il Psoe fuori dalla crisi? Sembra al momento di no. Se indurisce la sua posizione contro il governo Rajoy può anche provocare nuove elezioni, ma poi? Il Psoe non sembra in grado di erodere più di tanto i due partiti confinanti, né Ciudadanos né Podemos.
Una coalizione alternativa con Podemos non sembra programmaticamente possibile, trattandosi di una forza con pulsioni protestatarie poco gestibili dal Governo, pulsioni confermate dal recente congresso interno che ha bocciato le posizioni più moderate, né si può costruire una maggioranza con forze secessioniste. Se qualcuno di questi elementi non cambia, Sanchez rischia quindi di ritrovarsi prima o poi, dopo un’elezione politica, esattamente al punto di partenza della situazione che ne determinò la caduta: avallare di nuovo un Governo di Rajoy o ripetere le elezioni.
Insomma gli iscritti hanno voluto rimettere le lancette all’indietro, ma non è detto che l’orologio riparta.