“Maestro cantore” dell’indolenza femminile è il celebre artista simbolista-romantico Puvis de Chavannes (1824-1898). Influenzato dall’impeto di Delacroix e dal languore della corrente decadente, costui si staglia quale uno degli interpreti del sentire femminile della seconda metà dell’Ottocento.
L’indolenza, la ieraticità mista all’essere lasciva, le pose estatiche compongono l’iconografia femminile di Chavannes. La donna esemplificata come un’effigie a sé stante, che respira e si nutre di una realtà parallela, come se le sue movenze fossero catturate da ritmi temporali esuli dal presente storico. Un esempio ne è la sua opera, “Fanciulle in riva al mare” (1879), che racchiude questa sua poetica dell’indolenza, un’accidia consapevole e che sublima l’essere accostandolo a forme di trascendenza.
Una pigrizia dolce che ferma il tempo come in un’attesa perenne e solenne. In questo quadro nello specifico due donne sono ritratte di spalle a rappresentare un atteggiamento rivolto verso l’altrove e un disinteresse, un’atarassia mimica. Una è appoggiata su una duna, l’altra è in piedi con un panno appoggiato sui fianchi e delicatamente si tocca la lunga chioma bionda, in un gesto quasi inconsapevole. In primo piano una figura femminile distesa morbidamente, con un panneggio sulle gambe, in una posa lasciva, con una mano che accarezza il capo e l’altra che tocca il ginocchio.
La chioma, bionda con striature rossastre, è disciolta sulla rupe a stigmatizzare questa sensazione di libertà, sebbene composta. L’eco classico pervade tutta la composizione, nelle posture e nell’impianto prospettico, mentre la stesura del colore riecheggia la tecnica dell’affresco, riadattata. Osservando le fanciulle, costoro sembrano la stessa ripetuta, quasi a creare un’aura di mistero e a avvalorare lo stilema simbolico.
Un’iconografia dell’allegoria, ove tutto ha un significato nascosto, immerso in una dimensione atemporale. Un non-luogo dell’inconscio e del non essere. L’osservatore rimane colpito da questo flusso di pensieri che proviene da queste figure che sono l’emblema di una narrativa femminile di stampo tardo-ottocentesco.
Costanza Marana