Tributo a un genio nel senso etimologico del termine. Ascoltare una sua interpretazione dà la netta sensazione di un messaggio diretto verso l’uditore, in consonanza con il suo modo di essere, sempre schietto e mirato al senso delle questioni. Glenn Gould (1932-1982) si staglia quale artista d’eccezione nel panorama compositivo pianistico mondiale. Definito eccentrico, discutibile, nevrotico, ma il suo talento mai è stato ostracizzato vista l’indubbia verità.
Gould nutre una radicata insofferenza per il concerto pubblico, nonostante il suo accentuato egotismo, la situazione gli crea disagio, un’anti-mitica della performance; come risulta riluttante verso le incisioni discografiche, ma in quest’ultimo ambito si specializzerà al fine di “creare una nuova estetica”.
Glenn utilizza l’autorità dello strumento tecnologico per farlo suo e soddisfare la sua revanche di perfezionismo, esasperando la sensibilità sonora, con l’intento seriale di sanare il perfettibile. La sua tensione verso l’Alto coinvolge la sua poetica che rende le sue interpretazioni sempre dense di drammaticità e pathos, forzando l’ostensorio sonoro. Il purismo è la sua filosofia, il trascendere la materia sonora il suo credo.
Glenn è dotato della “concentrazione assoluta” che lo isola dal mondo e lo aderge fino alle vette del sublime in modo che le sue performance narrano tutto il sottile io narrante musicale che risiede dietro ogni partitura.
Posso essere solo ovunque. Quando alcune briciole di musica mi penetrano nello spirito, ho un curioso modo di perdere il contatto con me stesso, di astrarmi dalla conversazione e da tutto ciò che accade attorno a me.
Il suo sarcasmo, la sua volontà di dissacrare, il suo impeto polemico lo qualificano quale un indubbio interlocutore, ma il suo carisma e magnetismo appena poggia le mani sul pianoforte lo ergono a un individuo super partes.
Una sera, dopo aver suonato Bach a tutta velocità, uno di loro mi disse: “Ehi ragazzo, tu hai una mano sinistra buona come la destra”. Gli ho risposto ridendo: Fortunatamente sono mancino”.
Si narrano aneddoti sulle fisime del suo status di artista, come l’utilizzo di due paia di guanti, per proteggere le mani, oppure che utilizzasse sempre la stessa sedia da dieci anni poiché “l’unica perfetta nelle sue forme”, o il vezzo di indossare stivali da sci.
Non è che io sia asociale, ma credo che se un artista vuole utilizzare il cervello per un lavoro creativo, ciò che si chiama autodisciplina – che non è altro che un modo per sottrarsi alla società – sia assolutamente indispensabile (Glenn Gould).
Costanza Marana