Ha destato scalpore la motivazione finanziaria dietro all’attacco subito dal bus del Borussia Dortmund l’11 aprile scorso, quando la squadra si stava recando al Signal Iduna Park per affrontare il Monaco in Champions League. Ragionare sul terrorismo speculativo oggi consente di andare al di là di questo singolo fatto e di notare che questo evento non è stato un unicum e non è nemmeno particolarmente sorprendente alla luce della profittabilità della strategia del terrore oggi.
I fatti di Dortmund
Sergei W., come è stato identificato il 28enne attentatore, aveva acquistato lo stesso 11 aprile 15mila opzioni ‘put’ su azioni del club ad un prezzo stimato di 78.000 euro. Un opzione put su azioni o altri asset finanziari equivale ad un contratto, che permette ad un investitore di vendere l’asset ad un prezzo prefissato in un giorno futuro già concordato a priori. In questo caso si suppone che la scadenza fosse fissata il 17 giugno e, per poter agire, l’attentatore abbia contratto un prestito di 40.000 euro.
Sergej riteneva di poter speculare con l’attacco agendo con una sofisticata strategia di inside trading. Questa modalità prevede che si usino informazioni non disponibili al pubblico per fare soldi facilmente e nell’immediato. Secondo le previsioni dell’attentatore, il titolo sarebbe crollato immediatamente dopo l’attacco e l’investimento iniziale si sarebbe potuto moltiplicare a dismisura, con la prospettiva di guadagnare, secondo la Procura, circa 4 milioni di euro.
Quel giorno l’attentatore si trovava nello stesso hotel dei giocatori del Dortmund, L’Arrivée. In quel luogo ha proceduto all’acquisto delle opzioni e soggiornato in una stanza all’ultimo piano con vista sulla strada dove si sarebbe svolto l’attentato. Sergej ha poi agito mediante un detonatore a distanza, che ha azionato i tre set di esplosivi localizzati vicino al luogo di passaggio del bus della squadra.
Sergej e il terrorismo speculativo oggi…
Attualmente il terrorismo per ragioni speculative è una reale problematica, ma non sarebbe nulla di nuovo. La strategia di Sergej si basava sull’effetto terrore, legata anche al fatto che un attacco di quel tipo, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, desta subito sospetti e paure legati a matrici fondamentaliste. In questo modo è possibile distogliere l’attenzione dalla situazione reale, concentrando l’attenzione su altre piste e creando una sorta di trappola che permetta di coprire le effettive motivazioni dietro al gesto compiuto.
La modalità dell’attentato di Dortmund però ha subito destato sospetti nelle forze dell’ordine e nella stampa. Infatti, come riportato da Bojan Pancevski sul The Sunday Times, l’esplosivo utilizzato era di tipo militare, non caratteristico dell’ISIS. Ciò ha permesso di smascherare Sergej, che altrimenti avrebbe potuto agire insospettato.
D’altronde non sarebbe stata la prima volta in cui un attacco sia stato erroneamente attribuito al jihadismo, Questo è accaduto a Quebec in gennaio e a Melbourne nello stesso mese, quando la furia di un uomo di origine greca con problemi di tossicodipendenza fu legata al jihadismo, mentre in realtà si trattava di un caso di follia individuale. Anche l’attentato nel gay club di Orlando dello scorso anno compiuto da Omar Mateen venne inizialmente collegato all’ISIS, ma la CIA escluse poi diretti contatti con la cellula terroristica.
Le reazioni della borsa al terrorismo non sono sempre prevedibili
Al giorno d’oggi il terrorismo di matrice commerciale e prettamente individuale è un tema d’interesse come mai prima. E’ possibile fare profitto mediante la minaccia della morte e l’imposizione della paura sulla gente, ma, come ricorda l’Indipendent, non è così agevole, perché non ci spaventiamo così facilmente.
Non sempre la borsa reagisce razionalmente e non sempre è possibile quantificare l’effetto della paura, anche perché le aspettative sullo shock provocato dal terrorismo sono spesso sovrastimate. In questo specifico caso, il giorno successivo all’attacco fuori dall’hotel L’Arrivée i titoli del Dortmund hanno aumentato il proprio valore, ma anche in passato in coincidenza con altri e più gravi eventi, lo shock è stato minore alle aspettative: dopo l’11 settembre ad esempio, al mercato borsistico fu necessario un solo mese per tornare alla regolarità.
La bolla speculativa legata al terrorismo è quindi un pericolo reale, ma ridurre l’effetto paura è anche un compito dei media e della politica, come ricordato da Tom Smith, docente all’Università di Portsmouth. I politici solitamente creano essi stessi le condizioni per incrementare il terrore nei cittadini, con dichiarazioni iperboliche e talvolta eccessive che possono innescare una spirale di paura molto pericolosa. Riducendo il livello di tensione politica, si ridurrebbe lo shock nell’opinione pubblica, e di conseguenza diminuirebbero i margini di profitto per gli speculatori finanziari. Questo però andrebbe a discapito di quei politici che costruiscono sul timore del terrorismo buona parte della loro propaganda.