La “guerra dei Droni” compie 15 anni. Ormai sono diventati l’arma chiave delle guerre asimmetriche contemporanee e stanno cambiando il modo di intendere una guerra, riducendola ad una serie di attacchi unilaterali. Inoltre, dal momento che l’opinione pubblica è oggi sempre meno disposta a tollerare gli interventi armati, i droni rappresentano lo strumento idoneo a condurre azioni militari senza affrontarne i costi sociali e politici. Ma il costo, non solo umano, di questi droni qual è? I fatti hanno smentito la presunta precisione di queste macchine che doveva limitare i cosiddetti “danni collaterali”, cioè le vittime civili.
“Quindici anni fa, il 4 febbraio 2002, in Afghanistan, un drone americano lanciava un missile Hellfire contro tre uomini uccidendoli. Quello era il primo attacco effettuato da un velivolo a pilotaggio remoto con armi a bordo. Il drone era sulle tracce di Osama bin Laden, ma con ogni probabilità le vittime non erano terroristi, bensì uomini intenti a recuperare rottami di metallo.
Era così iniziata l’era delle ‘esecuzioni mirate’ mediante droni, un approccio adottato per la prima volta durante l’amministrazione di George W. Bush nella ‘guerra contro il terrorismo’ bandita dagli Stati Uniti e divenuto strategico nel corso della presidenza di Barack Obama.
Un bilancio sull’effettivo ruolo dei droni nel contrasto del terrorismo è oggetto di un acceso dibattito ad opera di fautori e critici di questi sistemi d’arma. Se i primi sottolineano la capacità dei droni di neutralizzare insorgenti e terroristi in condizioni di sicurezza e di economicità, i secondi ne mettono sotto accusa la dubbia legalità, l’imprecisione nell’individuazione degli obiettivi e i conseguenti costi in termini di vite di innocenti che caratterizzano queste azioni, i cosiddetti “danni collaterali”.
Rispetto alle vittime causate da attacchi con droni, emergono due elementi rilevanti. In primo luogo si nota l’assenza di dati certi sia sul numero totale delle vittime, sia sulla loro qualifica di civile o combattente, tanto che nessuna delle fonti istituzionali o private è in grado di fornire cifre esatte.
Ad esempio il governo USA ha dichiarato che nel periodo 2009-2015 in 473 attacchi condotti in Afghanistan, Iraq e Siria, sono stati eliminati tra i 2.372 e i 2581 terroristi. In secondo luogo, le diverse fonti che cercano di quantificare tali “danni collaterali” ci indicano, escludendo i dati minimi e massimi, che le vittime civili nelle aree considerate (oltre alle suddette, Pakistan, Yemen, Somalia) oscillano mediamente tra il 10 e il 20% del totale delle vittime: di cui tra il 25 e il 30% bambini.
Pur raccogliendo nell’eshablishment politico e militare vasti consensi grazie alla loro economicità finanziaria e politica, i droni hanno due nemici i quali, senza essere armati, non per questo sono del tutto inermi. Si tratta del diritto e dell’opinione pubblica.
Quanto al diritto, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, prevede il “diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza degli individui”, un impegno che, nei rapporti internazionali, impone agli Stati di salvaguardare i diritti umani anche quando ricorrono all’uso della forza. Pure in questo caso, infatti, la loro azione deve rispettare i criteri della legittimità e della legalità.
In un conflitto asimmetrico transnazionale bisogna stabilire quale normativa applicare tra il diritto umanitario dei conflitti armati internazionali, il diritto umanitario dei conflitti armati non internazionali e il diritto internazionale dei diritti umani. Una questione resa ardua dal coinvolgimento di ben tre soggetti: lo Stato vittima, l’attore non-statale transnazionale, lo Stato sul cui territorio è condotta l’azione, e dall’avvento di nuove tecnologie.
Resta da spiegare perché, a fronte di aspre polemiche politiche e legali, i responsabili politici e militari della difesa e della sicurezza degli Stati Uniti siano così tenacemente schierati a favore dell’uso dei droni. La risposta è semplice: perché i droni presentano decisivi vantaggi di ordine operativo, economico e politico comunicativo.
- 1) Vantaggi operativi. I droni gestiscono quei compiti che sono stati definiti dull, dirty and dangerous, cioè “stupidi”, “sporchi” e – soprattutto – “pericolosi”.
- 2) Vantaggi economici. Non solo negli Stati Uniti, ma anche nei principali paesi dell’Unione Europea i finanziamenti per una tecnologia d’avanguardia e cost-effective come quella dei droni si fanno largo pur nella crisi fiscale degli Stati adempiendo una funzione di “volano” keynesiano in una fase di ristagno dell’economia. Tra gli altri vantaggi, in Europa i droni, costituendo una tecnologia dual use (militare e civile), possono essere finanziati dai fondi dell’U.E. Difatti, a partire dal 2001 la ricerca sui droni è stata ammessa agli altrimenti inaccessibili programmi di finanziamento FP7, Horizon 2020, COSME. A favorire il processo vi è la crescente contiguità tra le due sfere della sicurezza, quella internazionale e quella interna. In entrambe i droni possono giocare un ruolo da protagonisti, come mostrano i finanziamenti per 350 milioni di euro recentemente concessi per la ricerca sui velivoli senza pilota nel controllo dei confini/sorveglianza marittima e nella sicurezza interna.
- 3) Vantaggi politici e comunicativi. Grazie alla sua invulnerabilità il drone è un formidabile protettore delle vite umane del paese che lo arma.
Utili a prevenire le preoccupazioni dell’opinione pubblica, tuttavia nei sondaggi effettuati a livello mondiale i droni sono sostenuti da una chiara maggioranza soltanto tra i cittadini americani e israeliani. Le indagini demoscopiche (realizzate per lo più da istituti basati negli Stati Uniti) rilevano una diffusa opposizione all’utilizzo dei droni armati non solo tra i cittadini di Asia, America Latina e della grande maggioranza dell’Africa, ma anche d’Europa. Tale contrarietà risulta ancora più spiccata presso il pubblico femminile, confermando il “divario di genere” (gender gap) frequentemente rilevato nelle indagini demoscopiche relative all’uso della forza. Gli unici due paesi nei quali si registra un’opinione prevalente favorevole all’utilizzo dei droni armati sono Israele e Stati Uniti. Negli stessi Stati Uniti, però, tale consenso non è così netto e appare tendenzialmente in calo, passando dal 68% dei favorevoli nel 2011 al 58% nel 2015 (Pew Research Center).
Quanto all’opinione pubblica europea, si va manifestando una diffusa opposizione ai droni armati. Una maggioranza del 53% dell’opinione pubblica di 11 Paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna e Svezia) disapprova molto (29%) o abbastanza (24%) l’uso dei droni per scoprire ed eliminare nemici in Paesi come l’Afghanistan e il Pakistan (George Marshall Fund, 2013). Persino nel Regno Unito, che pure tra i maggiori Stati europei è tradizionalmente quello più vicino alle politiche di Washington, solo un intervistato su due è favorevole ai droni armati, con un progressivo ridimensionamento del supporto nel corso del tempo.
Per quanto riguarda il nostro Paese, sebbene allo stato attuale non si disponga di inchieste specificamente centrate sull’Italia, dalle rilevazioni cross-national emerge tra i nostri concittadini uno scarso e decrescente sostegno ai droni armati: meno di un terzo (31%) degli italiani è favorevole alle esecuzioni mirate mediante i droni mentre il 55% vi si oppone (2012), con una tendenza alla riduzione del consenso che nel 2014 registra il picco più basso con il 18% dei favorevoli a fronte del 74% dei contrari (Pew Research Center).
Va osservato peraltro che, anche nel caso dei droni civili, la conoscenza di essi da parte dei nostri connazionali è ancora piuttosto ridotta (aggirandosi intorno al 40% degli intervistati).
Emerge così quella che può essere definita la ‘funzionale sottovalutazione’ di un protagonista della scena strategica qual è il drone. Oggi non è più rinviabile il suo ‘sdoganamento’ nel discorso pubblico italiano, vale a dire da parte degli attori politici, dei mezzi di informazione e degli stessi social media. Gli ignoti processi decisionali che caratterizzano il settore a livello nazionale (Presidenza del Consiglio, Ministeri), bilaterale (Italia-USA) ed europeo (Commissione Europea, agenzie UE, gruppi ad hoc), mostrano che opacità, assenza di trasparenza e strategia del segreto sono i principali ostacoli da rimuovere sulla strada della legalità e della pace. Anche, e soprattutto, nel caso di una tecnologia avanzata, flessibile ed efficiente come i droni armati”. Estratto del rapporto “Droni militari, proliferazione o controllo?” realizzato dall’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo (Iriad)