Il generale Dominique Delawarde, francese, è stato capo della Guerra Elettronica e Informazione allo Stato Maggiore Interarmi di pianificazione operativa. Sulle ultime imprese del Pentagono, e specie sul lancio della MOAB, descritta dai media occidentalisti come la tremenda “madre di tutte le bombe”, la “bomba non atomica più potente in mano ai militari Usa”, ha scritto un rapporto, come dire?, alquanto beffardo. Che dice qualcosa sulla considerazione in cui gli alti gradi militari di Francia tengono la qualità militare della Unica Superpotenza Rimasta.
Vale la pena di tradurre:
Una settimana dopo il suo attacco spettacolare ed illegale in Siria, Trump continua la sua dimostrazione di forza in Afghanistan utilizzando per la prima volta la bomba ‘non-nucleare’ più potente del suo arsenale, soprannominata MOAB (Mother of all Bombs). Con questa nuova iniziativa, offre a ciascuno l’opportunità di porsi delle domande sugli attacchi Usa in generale, e questo in particolare.
I – Quadro generale.
In base alle fonti ufficiali Usa facilmente consultabili (Fonte 1, Fonte 2) appare che, in rigorosa applicazione del diritto del più forte, senza accordo dell’Onu e in genere senza l’accordo dello Stato interessato, le forze aeree Usa hanno nel 2016 bombardato 7 paesi e lanciato un totale di 26.172 bombe, al minimo.
Un totale impressionante che è in aumento: di 3 mila bombe (+12%) rispetto al 2015. Da notare: la US Air Force ha effettuato il 67% dei bombardamenti della coalizione occidentale in Irak, con il consenso del governo, e il 96% dei bombardamenti della coalizione in Siria senza consenso del governo legale. Questo scarto percentuale sembra mostrare una reticenza della maggioranza dei paesi della coalizione ad intervenire in Siria senza mandato Onu e senza il permesso del governo legale.
II – Il bombardamento in Afghanistan
Giovedì 13 aprile alle ore 19.32 locali, l’US Air Force ha lanciato da un C130 il primo esemplare, dei 15-20 esemplari in servizio, della sua “Mega bomba a spostamento d’aria” (GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast Bomb: MOAB) su una rete di tunnel fortificati che sarebbero serviti di base a Daesh. Il lancio è stato fatto col consenso del presidente afghano Ashraf Ghani.
Testata prima della messa in servizio nel 2003, questa bomba, la più potente non-nucleare dell’arsenale Usa, pesa 10,3 tonnellate, sviluppa una potenza esplosiva equivalente a 11 tonnellate di tritolo e costa 16 milioni di dollari ad unità, ossia il prezzo di 16 o 25 missili Tomahawk, secondo i modelli di quest’ultimi. Il suo raggio di efficacia totale di soli 150 metri.
Particolare aneddotico, secondo il New York Times, la rete di tunnel presi di mira sarebbe stata finanziata con varie decine di milioni di dollari, negli anni ’80 dalla Cia, per sostenere i mujaheddin nella loro lotta contro l’URSS (il contribuente americano paga la costruzione, e poi la distruzione…).
“E i russi ce l’hanno più grossa…”
“Altro dettaglio aneddotico: la famosa MOAB è largamente superata in potenza ed efficacia dalla «Aviation Thermobaric Bomb of Increased Power». Questa bomba non nucleare russa, testata prima della sua messa in servizio nel 2007, è stata, per derisione del MOAB, FOAB (Father of all Bombs). Essa è del 30% più leggera della MOAB (7,1 tonnellate) ma sviluppa una potenza esplosiva equivalente a 44 tonnellate di TNT (4 volte superiore a quella del MOAB Usa). Il suo raggio di efficacia è di 300 metri, il doppio di quella americana.
Quanto all’efficacia dell’attacco in Afghanistan, abbiamo due versioni di cui nessuna può esser considerata più valida dell’altra. Il comunicato “Us government – Afghan” rende conto di 96 combattenti di DAESH uccisi. Il comunicato di DAESH sostiene che questo attacco non ha fatto alcuna vittima. Siamo qui nella guerra dell’informazione e dei comunicati.
III – Conclusioni.
Braccato quotidianamente dai media e dai neocon da quando è entrato in funzione, Trump sembra lanciarsi in una retotica bellicista per tre ragioni:
- Disarmare i neocon e dare qualcos’altro da raccontare ai media perché lo lascino un po’ in pace. Questa tecnica è stata utilizzata con successo da Bill Clinton il 16 dicembre 1998, alla vigilia dell’esame per la sua destituzione (impeachment) da parte della camera dei rappresentanti per le sue menzogne nell’affare Lewinsky: allora ordinò degli attacchi aerei sull’Irak (Operazione Desert Fox). Furono lanciati 415 missili Tomahawks facendo da 600 a 2 mila uccisi in 3 giorni. L’attenzione dei media fu distolta dallo scandalo Lewinsky. Beninteso, gli iracheni ne hanno pagato il prezzo.
- Dare agli americani “lambda” l’immagine di un comandante in capo solido, determinato, che non arretra, e tentare di ricostruire un minimo di coesione e di unità nella popolazione USA : non c’è niente come una buona guerra per unificare un paese [effettivamente la popolarità di Donald è salita al 50% dopo il lancio dei Tomahawks. ]
- Inviare un messaggio subliminale agli avversari (Siria, Iran, Corea del Nord, Russia, Cina..): “Gli Usa sono forti, fortissimi. Possono agire in modo unilaterale, brutale e imprevedibile, senza il permesso dell’ONU. Il loro comandante in capo non esiterà..”.
Dunque questi bombardamenti hanno meno a che fare con la ricerca de una efficacia militare, che con “cinema e comunicazione”. La semplice aritmetica mostra che le 26.172 bombe lanciate dagli Us Air Force nel 2016 rappresentano, senza fare altrettanto rumore, l’equivalente di 3 MOAB al giorno”.
“I militari USa hanno ancora i mezzi per le loro ambizioni?”
Ora, per i lettori dei nostri blog alternativi quelle qui date dal generale non sono novità sensazionali. Ma il punto è che vengono da un esperto militare, uno specialista in valutazioni strategiche e operative: che non nasconde il suo disprezzo per la puerilità, incompetenza e nullità tattica e strategica delle scelte militari della supposta superpotenza. Lo spreco di risorse costosissime per “il cinema” suscita nel generale Delawarde i sarcasmi che abbiamo letto.
Una tale valutazione delle sceneggiate aggressive americane è, vedo, largamente condivisa negli ambienti francesi della Difesa.
Il sito Dedefensa, spesso da noi citato, interpreta la furia bellicista di Trump e dei generali che gli hanno messo attorno (McMaster come capo del consiglio di sicurezza nazionale, Mattis al Pentagono) quasi come un rabbioso attacco di panico di fronte alla scoperta che le forze armate russe sono state ricostituite, snelle ed efficaci, mentre negli ultimi vent’anni “la situazione generale delle forze Usa s’è naturalmente degradata, come è naturale per un bilancio militare che arriva penosamente [sic: sarcasmo] a 700 miliardi di dollari l’anno [la spesa della difesa russa è inferiore di 10 volte, ndr.] – Il Pentagono è da molto tempo ormai in una crisi costante di gestione, ossia nell’incapacità di realizzare un lavoro normale di produzione, manutenzione e modernizzazione delle forze armate esistenti, e non si parla del loro rafforzamento. La situazione di queste forze armate che sono all’opera un po’ dappertutto [700 basi all’estero!, ndr.] è dunque estremamente indebolita, costantemente in durata, con la tendenza normale all’indebolimento a causa dell’invecchiamento e dell’usura dei materiali”.
[…] “Questi militari si trovano più o meno a dover frenare insieme i loro ardori e la belva che hanno scatenato in Trump, nella misura in cui si accorgono, presto, che non hanno i mezzi per le loro ambizioni”.
Giorni fa si è attribuito al generale McMaster il progetto di mandare 50 mila uomini che avrebbe voluto mandare in Siria, a combattere Assad (e i russi, gli iraniani, Hezbollah..) ma poi, è caduto il silenzio. Il clamore è stato puntato sulle portaerei mandate a minacciare la Corea del Nord – cosa che Emmanuel Todd ha chiamato operazione di “militarismo teatrale” – e i media volonterosi hanno restituito agli Usa la corona di gendarme del mondo, e a Trump quella del solito grande presidente americano di guerra. Per Philippe Gasset di Dedefensa, “diventa un Trump che ogni volta conduce la macchina dell’americanismo all’orlo dell’abisso di decisioni sempre più difficili da prendere”.
Come abbiamo detto (grazie amico Nicolas Bonnal che l’ha segnalato), Emmanuel Todd parla di “militarismo teatrale” : attenzione: ne parlava già 15 anni fa nel suo saggio Aprés l’Empire (2001), dove profetizzava il declino della superpotenza.
“Assistiamo a un militarismo teatrale che comprende tre elementi essenziali:
- Mai risolvere un problema, onde giustificare l’azione militare indefinita dell’unica superpotenza su scala planetaria.
- Prendersela con micro-potenze – Irak, Iran, Corea del Nord, Cuba eccetera. Il solo modo di restare politicamente al centro del mondo è di “affrontare” degli attori minori, valorizzanti per la potenza americana, onde impedire, o almeno ritardare la presa di coscienza delle potenze maggiori chiamate a condividere con gli Stati Uniti il controllo del pianeta: l’Europa, il Giappone e la Russia a medio termine, la Cina a più lungo termine.
- Sviluppare armi nuove, che si suppone mettano gli Stati Uniti “più avanti” nella corsa agli armamenti, che non deve mai cessare.
Questa strategia – concludeva Emmanuel Todd nel 2001 – fa dell’America un ostacolo nuovo e inatteso alla pace nel mondo”.
Chiunque vede, spero, la pericolosità di questa psiche collettiva: la Superpotenza dubita di poter vincere una guerra contro una vera forza armata moderna, e perciò non solo provoca sovversioni e destabilizzazioni, ma è tentata di rincarare la posta per poter ricorrere all’unico apparato militare in cui ha, o crede, di “essere ancora più avanti”: l’arma atomica.
Rammodernare e sofisticare armamento nucleare con “nuove armi avanzate” era l’ossessione del precedente ministro della Difesa americano, Ashton Carter, colto da rabbia e panico alla scoperta che la Russia era intervenuta in Siria, spostando i suoi caccia e bombardieri senza che la costosissima intelligence Usa (17 enti) se ne accorgesse.
Di fatto, come ha rivelato Manlio Dinucci del Manifesto, Washington ha messo a punto la nuova bomba atomica B61-12 che potrà essere adesso prodotta in serie, e che gli Usa daranno da lanciare anche “all’aviazione italiana, in violazione dei trattati di non-proliferazione e della Costituzione italiana” (la più bella del mondo).
“La B61-12 non è una semplice versione ammodernata della precedente, ma una nuova arma: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire; un sistema di guida che permette di sganciarla non in verticale, ma a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un first strike nucleare”.
Leggete il resto qui.
Due parole sul generale Delawarde e i suoi sarcasmi. Il fatto che li abbia resi pubblici è una rottura della norma, da parte di un ufficiale dell’intelligence. Essa riflette il nervosismo, anzi l’insofferenza degli alti gradi francesi, al comando della sola forza armata in Europa di alta qualità e di specifica cultura (giacobino-napoleonica, e patriottico-gaullista, comunque sia non-atlantista), di essere stati assoggettati dai politici borghesi (Sarkozy e Hollande) alla NATO, e al comando di una simile forza idiota e pericolosa.
Da tempo i generali francesi danno segni di volontà di critica radicale al potere civile e alle sue politiche. Il generale Tauzin ha tentato di presentarsi alle elezioni presidenziali, deriso dai media. Un generale Picquemal ha partecipato a manifestazioni contro “l’accoglienza” dei “migranti”, ed è stato per questo sottoposto a sanzioni disciplinari . Un generale Soubelet ha appoggiato il candidato MAcron per qualche settimana, per poi allontanarsene quando ha visto che dietro a Macron c’era Hollande…Adesso il presidente degli ufficiali della riserva, generale Anoine Martinez, ha scritto un libro “Quand la Grande Muette prendra la parole” – (la Grande Muta è, per tradizione, l’Armée Francaise, per dire che obbedisce tacendo – anche se freme) dove dice: basta con questo dovere di tacere; abbiamo il dovere di parlare. E giù critiche alla politica di immigrazione, “importiamo una religione che vuole la nostra morte” – e racconta di episodi di ammutinamento di soldati “francesi” islamici in zone d’operazione in paesi musulmani – giù allarmi sulla “unità della Nazione” in pericolo, giù critiche alla riduzione di personale:
“Le forze armate sono state tagliate di 54 mila uomini fra il 2008 e il 2015. L’attuale presidente [Hollande] prevede di ridurle di altri 34 mila uomini, insomma circa 90 mila uomini in meno. Ciò pone enormi problemi di avvicendamenti, anche perché non sono mai state tanto impegnate all’estero come adesso”.
E ricorda che quando ebbero l’ordine di mandare altri uomini per la “Operazione Serval in Mali” (una guerra di tuareg contro il governo di Bamako, presto metamorfosata in Al Qaeda nel Maghreb Islamico, 2012-2015), “il capo di stato maggiore generale e i capi di SM delle tre armi si sono detti pronti a dare le dimissioni al ministro della difesa. La gente non lo sa, ma venti generali erano pronti a seguire i loro capi. Bisogna rompere il silenzio per consentire una presa di coscienza. La politica esita troppo: se non è messa davanti a situazioni drammatiche, non si prendono decisioni”.