L’ascesa del populismo
Di populismo se ne parla da tempo, in Italia è diventata una storia così avvincente da valere anche una buona produzione cinematografica. Non solo giornalisti e scrittori, professori e politologi, giuristi e intellettuali di vario genere e titolo. Sul grande schermo abbiamo avuto le produzioni di Nanni Moretti, Roberto Andò.
E da qui a poco Paolo Sorrentino racconterà la storia dell’uomo che, al domani di Tangentopoli, quando vi fu il crollo del sistema partitico italiano, con quella rottura ancora irrecuperata con l’elettorato, si fece strada, conquistando e seducendo il popolo, in una maniera nuova, estremamente carismatica, di fare e intendere la politica. Un film su Silvio Berlusconi, che segna l’ascesa del populismo in Italia.
Gli intellettuali, che provenissero da destra o da sinistra, non apprezzavano l’uomo nuovo, sin dagli albori. Ancor meno apprezzavano quella politica fatta di frase “popolane”, “da bar”, in cui il pragmatismo di cui questa era sempre stata dotata dal ‘46 in poi, era totalmente venuto meno.
Il giornalista, risaputamente conservatore, Indro Montanelli invitò il popolo, in particolare quello a lui vicino politicamente, in una frase che ha fatto la storia, a “turarsi il naso e votare a sinistra”.
Quella prima fase populista, è segnata tutto sommato da un’alternanza stabile, in cui un governo fa danni, l’altro li risolve, cosparsa di scandali, medesimi nomi che talvolta finiscono per fare la lotta a se stessi.
Nasce per la prima volta l’idealizzazione del pop. Io non sono d’accordo con coloro i quali la intendono con l’odierno semi passaggio da democrazia a popolocrazia, perché credo il tratto peculiare sia quello di un’esaltazione demagogica di luoghi comuni, del mainstream nella sua forma però talvolta più dispregiativa.
Si apre un dialogo con il popolo, ma se ne chiude un altro. Perché se da una parte il populismo segna una fase di maggiore empatia tra politica e popolo, in cui sostanzialmente il cittadino si rivede nella personalità che si appresta a votare, d’altra parte viene meno un racconto politico serio con la cittadinanza.
Una situazione che avrebbe portato ben presto alla seconda fase, che inizialmente avrebbe potuto prendere la forma di una sorta di revanche, della classe media in particolar modo, più tardi si rivela un’altra discutibile occasione mancata.
Crisi ed indignados
Nel 2007 inizia una crisi senza precedenti. L’origine sta in obbligazioni note come CDO, Collateralized debt obligation, letteralmente con “garanzia debito”, composte da mutui subprime.
Senza dover affrontare un racconto della crisi, che oltre a non trovare spazio all’interno di quanto stiamo trattando, è ancora oggetto di dibattito e opinioni divergenti, quello che a noi interessa considerare è che la crisi del 2007, con le conseguenze economiche e sociali che ha generato, sta alla base dell’ondata globale di populismo.
Nulla afferma che senza una crisi di tali dimensioni non sarebbe successo lo stesso. Certo è che senza quella estesa dose di malessere sociale enfatizzata dal racconto mediatico delle falle del potere, il populismo non avrebbe trovato lo stesso endorcement.
È interessante tuttavia ripercorrere quanto succede all’estero piuttosto che in Italia, dove vi è una posizione politica da parte del populismo decisamente più instabile e non ancora delineata, viziata dalla visione che si sostanzia nell’oggi noto modello rousseau.
Il motore scatenante quel populismo diffuso è un pamphlet per nulla pop, dal titolo “Indignez-vous” di Stefane Hessel. Nascono tutta una serie di Movimenti, gli Indignados in Spagna, Occupy Wall Street nel cuore della finanza statunitense, ognuno dei quali sostenuto dai maggiori intellettuali di sinistra internazionalmente riconosciuti, tra cui Michael Moore, Susan Saradon e Noam Chomsky.
Quando lessi il pamphlet per capire la protesta, quel che più mi colpì fu il valore dato, passando per dei richiami a Sartre, alla responsabilità individuale, alla responsabilità di un individuo artefice del progresso e attraverso il quale trovare il coraggio e la capacità di indignarsi.
Sapete, Indignez – vous non è un pamphlet euroscettico, né anti – migranti. Non è ne anti – interventista, né protezionista.
Al contrario è il quadro di un mondo globale che deve lottare non contro l’interdipendenza, ma per l’eguaglianza. Che non deve emarginare, ma accogliere. Che deve aiutare i popoli in difficoltà, non abbandonarli ai suoi dittatori.
Un populismo, se così vogliamo definirlo, per il popolo e non per il pop, diverso da quello che da lì a qualche anno si sarebbe affermato e che racchiude personalità come Donald Trump, Marine Le Pen, Vladimir Putin, Viktor Orban e in Italia il M5S – ove si fatica a capire chi sia realmente il leader.
E forse è proprio questo alto distacco dagli alti temi di Indignez vous ad aver causato il rapido declino che pare toccare al populismo.
Dalla Finlandia ai sondaggi austriaci e francesi
Le elezioni europee vengono seguite, in particolare dopo la vittoria alle presidenziali statunitensi di D. Trump, con particolare attenzione, e questo molto banalmente perché la governance dei vari stati che compongono l’Unione non solo detterà le politiche comuni, ma in particolare l’esistenza o meno di un futuro insieme, se non addirittura di un futuro per i Paesi stessi.
Il primo respiro di sollievo rispetto all’ondata di populismo vi è stato in Olanda, dove sì la sinistra ne è uscita distrutta, ma l’ala moderata/conservatrice ha assunto il ruolo di baluardo contro la deriva euroscettica e la vittoria del populismo.
Un dato che emerge e che incuriosisce tuttavia riguarda sondaggi ed elezioni locali tenutesi nei Paesi europei di recente, ove non solo il populismo sta perdendo consensi, ma in particolare l’area di sinistra radicale, verde e più estrema ne sta guadagnando di più.
È il caso dell’Austria che, per la prima volta dal Giugno 2016, non solo vede il Partito Social – democratico in vantaggio con il 30% su FPO – partito nazionalista ed euroscettico – ma vede anche la crescita dei Verdi all’11%, che diventa così la quarta forza del Paese.
Vi è poi la Finlandia – il caso dei Paesi del Nord Europa legato alla diffusione del populismo ha particolare rilievo – dove si sono tenute domenica elezioni amministrative, ed emerge da un lato la vittoria dei popolari con un 20,7% di consenso, dall’altra nuova fiducia a sinistra che vede il SDP al 19,3%. Crescono anche qui i Verdi, anche in questo caso quarta forza del Paese con il 12,4% di consenso, superando populisti ed euroscettici – PS – che scendono di quasi quattro punti percentuali e rimangono fermi all’8,8%.
Altra situazione interessante è quella francese, dove non solo nei giorni scorsi ci sono state particolari tensioni e disordini durante il comizio di Marine Le Pen a Ajaccio, Corsica, tra indipendentisti corsi e militanti del Front National, ma tra l’altro la leader nazionalista sta andando incontro ad una perdita di consensi. Al contrario, mentre Emmanuel Macron scende collocandosi al 23% netto, inaugura una serie di trend positivi Jean – Luc Melenchon, candidato della sinistra radicale, che pare essere lì per lì per spodestare dalla terza piazza Francois Fillon.
Non manca chi sostiene che Hammon dovrebbe a questo punto ritirarsi e posizionarsi dalla parte di Melenchon, non solo per far vincere la sinistra, ma in particolare per sconfiggere il Front National e quel populismo che distruggerebbe la Francia.
Gli scenari sono aperti e sempre più elezioni vicine. Toccherà presto alla Francia, dove si potrebbero profilare anche ballottaggi alternativi, per quanto oggi quel mostro a cui abbiamo dato il nome di populismo tempo fa, pare iniziare a rinchiudersi in se stesso. O almeno, si spera.
Ilaria Piromalli
Fonte immagine: http://www.doppiozero.com/rubriche/3183/201506/intervista-marco-tarchi