Per salvare l’ambiente si deve evitare di comprare vestiti come se non ci fosse un domani.
C’è un tipo di inquinamento che rovina l’ambiente e se la batte con il petrolio e riguarda il settore dell’abbigliamento.
Vi sono molte persone che non vivono se non hanno sempre un guardaroba nuovo… ogni stagione!
Non vanno bene i vestiti dello scorso anno alcuni dei quali messi solo poche volte si deve comprare, comprare e ancora comprare nuovi vestiti.
Gente che, a detta di una signora che ha una merceria, non sa attaccare nemmeno un bottone alla camicia ed allora meglio ricomprarla nuova.
Tra la creatività di impreziosire una “vecchia” maglietta con un particolare nuovo e la pigrizia o l’ignoranza di non saperlo fare vince la seconda.
Quindi si comprano abiti nuovi che in molti casi non verranno nemmeno indossati.
Questo va bene per le aziende che vedono triplicare il loro guadagno.
Il menefreghismo nei confronti dell’ambiente è decisamente imbarazzante se si considera che molti capi d’azienda sono dei filantropi nei riguardi di associazioni che si interessano dell’ecosistema.
Greenpeace e i dati sull’ambiente
Ora alla smania di apparire di molte persone che buttano la maglietta comprata qualche mese prima per una nuova, si aggiungono i dati di Greenpeace riguardo il nuovo trend usa e getta del vestiario a causa dei tessuti che non hanno una lunga durata.
Le aziende vedendo la maggior parte delle persone seguire la moda e quindi buttare il capo comprato poco tempo prima, si adeguano e creano capi che hanno una durata breve.
Per questo motivo si accumulano tonnellate di rifiuti.
Secondo un calcolo fatto dalla catena Mercatino, 2.2 milioni di indumenti vengono portati nei loro negozi per essere venduti e 70 milioni sono buttati.
Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia dice che il riciclo non è una soluzione perché i mercatini sono invasi da indumenti e la battaglia per far riciclare le fibre al 100% ancora non è stata vinta. Le aziende devono tornare a produrre indumenti che abbiano una durata accettabile.
L’incredulità di chi non pensa porterà una persona a credere che si esagera, ma non è così
Gli scettici penseranno che i dati sono gonfiati perché l’abbigliamento non può inquinare.
Invece sì!
Ad esempio il lago d’Aral, sito tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, si è prosciugato (come si nota dalle immagini della NASA) “grazie” alla massiccia coltivazione del cotone (che ricopre quasi la metà della produzione vestiaria) che ha richiesto (a causa dell’aridità dell’Uzbekistan) la deviazione del corso degli affluenti che convergevano nel lago. Inoltre il terreno è diventato tossico per il largo uso di diserbanti.
Altro esempio i vari lavaggi dei jeans che arrivano nei negozi di abbigliamento con disegni talmente strani che sembra abbiano messo una miscela di candeggina e vernice chiudendo il tutto insieme ad una bomba e poi l’abbiano fatta esplodere. Invece hanno sprecato almeno 11.000 litri di acqua. Per non parlare poi del trasporto.
Non solo tessuti che non durano, ma anche tossici
Greenpeace attacca le aziende di abbigliamento anche perché usano dei materiali tossici.
Non solo distruzione ambientale, ma anche attentato alla salute delle persone che indossano i vestiti impregnati di sostanze chimiche (ne abbiamo parlato lo scorso anno).
Vale anche per i capi di abbigliamento outdoor (tradotto letteralmente allenamento all’aperto, quindi marchi che producono per la montagna o per il fitness) che usano il PFC (sostanza chimica di fluoro e carbone).
La fretta con la quale si butta un vestito reputato vecchio per uno nuovo non salva la persona dal rischio per la salute perché se compra la stessa marca che usa materiale tossico, il rischio è sempre elevato.
L’appello per le aziende è di usare materiali più naturali rispettando l’ambiente e creare fibre più resistenti.
Alle persone ricordiamo che la natura ospita gli umani, non è il contrario quindi dovrebbero tornare in auge, tra quest’ultimi, educazione e rispetto.
Marianna Di Felice