Alpi e Hrovatic uccisi dall’avidità
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono ancora due nomi scomodi dopo 23 anni.
Un attentato, un assassinio a sangue freddo o un’esecuzione che dir si voglia per mettere a tacere una giornalista e il suo cameraman che avevano scoperto un “ipotetico” traffico illecito di armi in Somalia a Mogadiscio (zona di guerra).
Le notizie riguardo l’accaduto si riducono a delle ipotesi (più di una) che riescono anche a mescolare le carte in tavola e annebbiare una flebile possibilità di verità.
Naturalmente la Alpi e Hrovatin con le loro indagini hanno pestato i piedi a gente che non voleva venissero pubblicizzati i loro loschi traffici.
Loschi traffici tra armi e rifiuti tossici
Che la Somalia è un crocevia di traffici illeciti celati dietro la maschera degli aiuti internazionali ormai si sa, ma perché ancora si nasconde la verità?
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin erano in Somalia nella missione Unosom ( 1992-1994, Ibis in italiano. Era una missione ONU portata avanti per proteggere le operazioni umanitarie) e stavano indagando sul traffico di armi e di rifiuti tossici scoprendo che gli apparati politico-militari avevano le mani sporche.
Ma anche se da tempo si sa cos’è successo, la verità rimane imprigionata tra gli ostacoli creati ad hoc per non farla venire a galla.
E pare che questi ostacoli sono posti dai servizi segreti.
I segreti dei servizi
Il Sisde, a pochi mesi dall’assassinio, diede una probabile soluzione.
La nave della cooperativa italo-somala “Somalfish” avrebbe portato armi di contrabbando alla fazione Somali salvation democratic front e la Alpi l’aveva sottolineato nel servizio precedente la sua morte.
E questa causa di omicidio venne ribadita dal Sisde l’8 giugno 1994, ma a quanto pare sono stati i servizi segreti ad assoldare i somali che hanno ucciso la giornalista e l’operatore italiani.
Sulla strada che da Mogadiscio porta verso nord molte aziende italiane, tedesche, inglesi e americane scaricavano rifiuti tossici e molte aziende d’armi vendevano le stesse ai signori della guerra come ad esempio al generale Aidid.
Misteri irrisolti
Ilaria Alpi aveva un informatore che aveva conosciuto in Somalia, un uomo che sapeva come muoversi. Vincenzo Li Causi maresciallo del Sismi era il collegamento con la giornalista per ciò che riguardava i traffici di scorie e armi. Li Causi fu ucciso in quello che sembra essere un agguato in Somalia come riferiscono i suoi colleghi che erano con lui al momento dell’attacco al mezzo militare VM-90 dove Li Causi fu raggiunto da un proiettile di un AK 47 (che loro non avevano in dotazione quindi si poteva escludere l’ipotesi di uccisione da parte di fuoco amico) che lo colpì alle spalle (mentre i compagni erano stesi a terra per rispondere al fuoco e questo esclude ulteriormente la morte per colpa del fuoco amico). E questo accadde nel 1993. Anche la morte (a Mogadiscio nel 1993) di Maria Cristina Luinetti, sottotenente del corpo infermiere volontarie della Croce Rossa italiana è sospetta. O quella di Marco Mandolini maresciallo della Folgore ucciso a Livorno nel 1995, visto che lui era in Somalia nel 1994 ed era malato a causa delle sostanze tossiche o per l’uranio impoverito.
La battaglia di una madre
Il sistema giudiziario italiano ha umiliato Luciana Alpi che insegue da anni la verità e che si è ritrovata ad ottenere un falso rispetto da chi ha nascosto ciò che era realmente accaduto a sua figlia e al collega.
La speranza della signora Luciana si era risvegliata con la sentenza della corte di appello di Perugia che ha assolto il somalo Hasci Omar Hassan dall’accusa di aver partecipato a quell’imboscata (già menzionato nell’articolo dello scorso anno).
“Dopo 23 anni di bugie e depistaggi da parte della procura di Roma, ringrazio i magistrati perugini per avermi restituito la speranza… Mi auguro che ora i magistrati di Roma si decidano a darci verità e giustizia. Datemi una mano per non far ricadere nell’oblio Ilaria e Miran” aveva detto Luciana Alpi.
Ma la speranza è caduta davanti alla barriera della falsa giustizia.
Molte sono le voci che si distribuiscono solo per confondere maggiormente ed evitare che la pura verità esca fuori. Ma a distanza di 23 anni qualcuno potrebbe prendere coraggio e lavarsi la coscienza, almeno per dare giustizia a Ilaria Alpi, a Miran Hrovatic e ai genitori della Alpi che sono ormai stanchi di lottare contro i mulini a vento.
Luciana Alpi recentemente intervistata ha detto di voler gettare la spugna perché si sente ormai presa in giro dalla giustizia italiana che fa di tutto per non arrivare alla verità.
Vigilerà su altri possibili occultamenti (visto che ce ne son stati troppi) mirati all’impoverimento di notizie sulle indagini condotte da Alpi-Hrovatin.
Le persone possono credere o meno a chi è abile a manipolare le menti, ma solo chi è dentro al problema irrisolto sa quanto dolore può causare soprattutto se a combattere è una madre per far luce sull’assassinio della figlia.
L’unica soluzione è ricordare sempre Ilaria e Miran che con ostinazione e coraggio hanno svolto il duro compito riservato ai veri giornalisti.
Marianna Di Felice