Nel 1900 venne elaborata la regola secondo cui, nelle gare automobilistiche, ogni nazione doveva essere riconoscibile dal colore della carrozzeria.
Blu per la Francia, bianco (che divenne argento) per la Germania, giallo per il Belgio, verde per la Gran Bretagna e rosso per l’Italia.
Ducati come Ferrari è sempre stata rossa: un’ambasciatrice dell’Italia che induce a tifare, come quando gioca la maglia azzurra della Nazionale di calcio.
Un orgoglio italiano che trova la maggior parte degli acquirenti in America e Giappone.
Le Ducati stradali, quelle che si acquistano dal concessionario, sono motociclette dotate di componenti speciali che le rendono uniche: i freni Brembo, i cerchi Marchesini, il manubrio Rizoma, lo scarico Termignoni, tutti made in Italy.
Sono il meglio del mercato mondiale e fanno sì che una Ducati costi molto più di altre marche.
Con diversi componenti il prezzo sarebbe minore e il mezzo apparentemente identico: alcuni non se ne accorgerebbero, forse funzionerebbe meglio ma, per un appassionato “doc“, non sarebbe la stessa cosa.
Ducati monta un motore bicilindrico ma i cilindri sono disposti a “L”, con distribuzione desmodromica, caratteristica che la rende unica a livello mondiale perché tutte le altre marche usano molle per alzare le valvole nei cilindri, invece di specifici comandi, sia per la chiusura che l’apertura.
E’ anche l’unica azienda che propone la frizione a secco sulle moto di serie.
Le Ducati forse non sono le più veloci, le più affidabili, e nemmeno le più comode, ma hanno un rumore caratteristico riconoscibile da lontano, amato dai cultori del marchio e odiato dagli altri motociclisti.
Dicono che una moto Ducati si ama o si odia.
La casa nacque a metà degli anni Venti, per sfruttare i brevetti conseguiti da Adriano Ducati nel campo delle comunicazioni radiofoniche.
A fine guerra, nel 1946, per riconvertire la produzione a uso militare, si diede vita al reparto motociclistico su richiesta dell’IRI, creando un motore monocilindrico da applicare come propulsore alla bicicletta.
Nel 1954 venne assunto Fabio Taglioni, un progettista romagnolo che diede una svolta incisiva, ideando le tecnologie innovative che hanno reso unica la Ducati, come il sistema desmodromico, il motore bicilindrico e il telaio a traliccio.
Ducati è stata la prima casa produttrice a vendere via Internet: accadde nel 2000 con Ducati MH900e. Il successo dell’iniziativa portò alla nascita di Ducati Com.
L’azienda, che ha sede a Borgo Panigale, quartiere di Bologna, si è sempre distinta per l’originalità e l’innovatività delle idee.
Nel 2012 è stata acquistata dalla tedesca Audi, del gruppo Volkswagen, ma già da prima la proprietà azionaria non era più italiana.
La moto viene oggi assemblata in Brasile e Thailandia, ma i motori restano made in Italy.
L’economia globalizzata rende difficile parlare di paternità di un marchio o di un prodotto, portando a delocalizzare per risparmiare.
Lo stesso gruppo Volkswagen ha avuto un italiano, Walter De Silva, a capo del Car Design dal 1999 al 2015, dopo aver svolto lo stesso ruolo per FIAT.
Cosa determina l’italianità di un prodotto?
Nel momento in cui l’attività artigianale smette di essere tale e diventa produzione industriale, s’inserisce in meccanismi che ne fanno perdere l’impronta forgiata dalla precisione manuale.
La necessità di vendere e arrivare a un pubblico più vasto ha portato Audi a rinunciare ad alcune caratteristiche che distinguevano la rossa di Borgo Panigale dalle altre moto, come la frizione a secco sui modelli di serie.
C’è da sperare che i cambiamenti non vadano oltre e che la moto Ducati mantenga quel rombo unico riconoscibile da lontano.
Come una musica che può piacere o non piacere.
Una Ducati si ama o si odia.
Ma non si modifica.
Paola Iotti